Goethe lo scrisse con chiarezza nel 1787: «L’Italia senza la Sicilia non lascia alcuna immagine nell’anima: qui la chiave di tutto». E soprattutto: «Conosci la terra dei limoni in fiore, dove le arance d’oro splendono tra le foglie scure, dal cielo azzurro spira un mite vento, quieto sta il mirto e l’alloro è eccelso, la conosci forse? Laggiù, laggiù io andare vorrei con te, o amato mio!».
Nel 1861 vivevano a Palermo poco meno di 200 mila abitanti. Attualmente sono poco meno di 700 mila. Demograficamente la città è cresciuta quasi tre volte e mezzo, ma occupa una superficie venti volte superiore a quella del centro storico entro cui era racchiusa. Il suolo urbanizzato occupava appena il 2% della superficie comunale, e ancora subito dopo la guerra poco più del 4% corrispondenti a 15 metri quadrati per ciascun abitante.
Ai nostri giorni (2006) ci troviamo con il 41% del territorio comunale urbanizzato, corrispondente a circa 100 metri quadri per ciascun abitante. Questa radicale trasformazione del contesto si è svolta nell’arco degli ultimi centocinquant’anni. Già il Piano urbanistico “Grandioso” commissionato nel 1861 dal Duca della Verdura fu definitivamente redatto dall’ingegner Giarrusso e prevedeva l’ampliamento in tutte le direzioni dell’abitato esistente, allora praticamente racchiuso entro le mura del vecchio centro storico.
Come è noto il Piano grandioso venne ridotto nel 1884 ad un Piano di risanamento del centro per potere usufruire delle opportunità offerte dalla legislazione per lo sventramento di Napoli, che finanziava soltanto interventi sulla città esistente. Tuttavia fu tenuto per molti anni come guida di riferimento. Ma, come riferisce Salvatore Mario Inzerillo nella sua fondamentale ricostruzione degli eventi, fu poi attuato per estrazioni per molti anni a seguire avviando la progressiva riduzione del sistema agricolo della Piana di Palermo.
Eppure la prima esperienza di pianificazione territoriale, diremmo oggi di area vasta, in attuazione della Legge urbanistica del 1942, si era avviata a Palermo quando ancora l’Italia continentale non era liberata dalla guerra. Allora, il problema delle aree agricole viene soltanto segnalato e proposto e, sempre secondo Inzerillo la sua soluzione viene rinviata, sembra di capire, per mancanza di politiche governative nazionali e/o regionali. In sostanza si prendeva atto che mentre per le zone industriali esistevano delle politiche di sostegno, nulla in tal senso veniva proposto dalla Regione o dal Governo nazionale e si rinviava tutto a future determinazioni.
Col senno del poi, ci si rende conto che da allora non fu mai data risposta alla implicita sollecitazione che scaturiva da quella omissione dichiarata del piano territoriale di Palermo. Le aree agricole furono fin da allora disciplinate con regole di edificazione: indici, altezze, distanze.
La legge di tutela del paesaggio fu d’altra parte ininfluente in Sicilia e nell’area di Palermo, non solo perché anche a livello nazionale la pianificazione in aree vaste non fu mai praticata, mentre fu diffusa la pratica di imporre vincoli secondo i farraginosi procedimenti previsti. Lo statuto speciale della Regione siciliana le ha dato totale autonomia in materia ma, come per molte altre questioni per lunghi anni, l’autonomia non fu mai concretamente esercitata in termini appropriati.
Secondo le conclusioni di uno studio del 2006, condotto dalla Apat (Agenzia statale) intitolato «Impermeabilizzazione e consumo dei suoli nelle aree urbane», «l’impatto diretto dei cambiamenti a favore delle aree artificiali consiste prima di tutto nella distruzione o alterazione irreversibile di suoli, conseguente perlopiù all’urbanizzazione, alla realizzazione e potenziamento delle infrastrutture di trasporto, all’apertura di cave. Questi fenomeni vengono compresi nel termine generale di impermeabilizzazione dei suoli o “soil sealing“». E ancora: «Con il termine “soil sealing” si indica qui la separazione che si instaura tra il suolo e gli altri compartimenti dell’ecosistema, come la biosfera, l’atmosfera, l’idrosfera, l’antroposfera e altre parti della pedosfera per effetto di strati di materiale parzialmente o totalmente impermeabile». E si arriva alla conclusione che tra le grandi città italiane Palermo è quella in cui l’estensione dell’artificializzazione del suolo e la più estesa.
Cosa fare? Nel 2006 scrivevo e non ho motivo di cambiare idea che potremmo cominciare a ricordarci dell’articolo 9 della nostra Costituzione e difenderlo da rozzi tentativi in atto per svuotarne il significato. Al di la delle dispute degli azzeccagarbugli nostrani quell’articolo enuncia un principio di responsabilità collettiva che è prevalente rispetto ad ogni altro interesse. Occorre dissotterrare questo principio semi sepolto e ricostruire una consapevolezza diffusa del valore statutario del contesto paesaggistico della Conca d’Oro (e italiano). Occorre che questo principio sia diffuso e condiviso e si traduca in una assunzione di pubbliche responsabilità per un efficace governo del territorio. Occorre che l’urbanistica finalmente ed effettivamente compia quel salto di qualità passando dall’essere governo dell’ampliamento dell’urbanizzazione dello spazio a governo delle risorse del territorio.
Per cominciare si prenda atto dell’esaurimento degli spazi disponibili per ulteriori ampliamenti e della necessità di destinare gli spazi non urbanizzati residui alla ricostruzione di un ambiente capace di rigenerarsi e per questo stabilmente vivibile. In primo luogo debbono essere individuate le perdite irreversibili di suolo agricolo. Non tanto per valutare la misura del danno o eventualmente del valore della trasformazione eseguita. Quanto per prendere atto del diverso assetto complessivo della Conca d’Oro in cui il suolo agricolo ha un estensione proporzionalmente minore sia in assoluto che relativamente al contesto urbano. In secondo luogo occorre individuare le perdite reversibili. Nel senso che laddove esiste un processo di abbandono originariamente preordinato all’urbanizzazione, si proceda all’arresto e al recupero come area “verde” salvo progettarne una restituzione all’agricoltura o alla natura. In terzo luogo occorre individuare con chiarezza gli spazi conformi e gli istituti capaci e responsabilizzati ad attuare una gestione “economica” e non frammentaria degli spazi agricoli.
Quest’ultimo argomento merita approfondimento e influisce anche sui procedimenti ricognitivi indicati nei punti precedenti. Il governo del territorio circoscritto all’ambito comunale il cui perimetro coincide con la Conca d’Oro “storica”, per le sue caratteristiche istituzionali e statutarie, non può adeguatamente risolvere il problema della conservazione e valorizzazione delle risorse territoriali (agricole e naturali). E’ evidente che lo spazio si è dilatato.