Da qualche parte sulle montagne della Colombia. L’Esercito di liberazione nazionale (Eln) si prepara al V Congresso. Il Primo comandante Nicolas Rodriguez Bautista (nome di battaglia Gabino), storico dirigente della formazione armata, prende posto nella fila di guerriglieri. Da quella di fronte, un’altra comandante avanza. Gabino tende le braccia per ricevere la bandiera piegata dell’Eln: una scritta bianca su sfondo rosso e nero. Il simbolo verrà esposto a fianco del ritratto di Camilo Torres – il prete col fucile, caduto combattendo il 15 febbraio del ’66 – e a quello del Libertador Simon Bolivar. Il Primo comandante ricorda i principi del Manifesto di Simacota, il programma dell’Eln, reso pubblico il 7 gennaio del 1965. «Quei 12 punti sono tutt’ora senza risposta», dirà in seguito al manifesto. Da qualche parte sulle montagne della Colombia.

Qual è la posizione dell’Eln sul processo di pace in corso all’Avana?

Oltre 20 anni fa, abbiamo iniziato i colloqui di pace, sempre consapevoli delle difficoltà di portarli a buon fine. Perché il regime vuole una pace che tagli le gambe alla ribellione e porti alla resa, mentre per l’Eln pace significa giustizia, uguaglianza sociale e sovranità. La pace non può essere la pacificazione, ma implica cambiamenti che portino al superamento della crisi attuale. La Colombia è uno dei paesi con gli indici più alti di disuguaglianze, l’impunità per le violazioni dei diritti umani compiute dallo Stato supera il 95%, e siamo in presenza di un conflitto politico che dura da oltre 70 anni. Un processo di pace deve includere la società, soprattutto gli esclusi di sempre. Se questo non avverrà, sarà un fallimento, non è questione di accordi o di conciliaboli.

L’Eln ha una lunga storia. Qual è il bilancio ora?

Cinquant’anni dopo la nostra nascita, abbiamo appena concluso con successo il nostro V Congresso, constatando il permanere delle condizioni politiche che ci hanno spinto a ribellarci con le armi, in base al diritto dei popoli alla rivolta. In Colombia, persistono il terrorismo di Stato, l’esclusione e l’impossibilità che il popolo possa usare le vie democratiche in una prospettiva di potere, come ha evidenziato mezzo secolo fa il sacerdote e sociologo Camilo Torres, ucciso in battaglia dopo essere entrato a far parte dell’Eln. Solo pochi giorni fa, i gruppi terroristici di Stato hanno assassinato Carlos Alberto Pedraza, noto dirigente delle lotte sociali. E subito dopo l’inizio del processo di pace tra le guerriglie e il governo si è scatenata un’ondata di minacce contro leader e militanti delle organizzazioni popolari e dei movimenti sociali: per intimidire le persone che sostengono il processo di pace, e che rappresentano la maggioranza delle colombiane e dei colombiani. L’Eln rimane attivo mezzo secolo dopo la sua nascita, perché sostiene ed è sostenuto dal popolo. Questo è il segreto che ci ha consentito di affrontare con successo la più potente macchina da guerra dell’America latina, che ha avuto come consulenti il Pentagono e il Mossad israeliano. Una guerra di sterminio costata agli ultimi della catena più di tutte le dittature che hanno infestato il nostro continente. Da quando abbiamo imbracciato le armi, la pace è il nostro obiettivo più importante e il nostro sogno più prezioso. Per questo stiamo partecipando ai dialoghi con il governo, per vedere se davvero esiste una volontà che porti al superamento dello stato di esclusione e di intolleranza, e se davvero esiste l’intenzione di riconoscere gli ultimi come veri soggetti del cambiamento, affinché siano loro a definire il futuro della Colombia al di sopra della minoranza benestante che ha imposto il suo dominio. Noi vogliamo che in Colombia vi sia democrazia, inclusione, giustizia sociale e sovranità, questa è la vera pace per cui lottiamo.

Può riassumere i concetti teorici dell’Eln e le differenze con le Farc, la guerriglia marxista colombiana? Voi siete “guevaristi”. Cosa significa oggi?

Le vere differenze con i compagni delle Farc sono di stile, storie individuali e metodi, non di carattere strategico, per questo ci sono forti possibilità di unirci. Si tratta di discutere, ascoltarci e continuare a superare i malintesi e i settarismi che si devono ancora superare affinché non torniamo mai più a scontrarci fra noi, quello scontro è stato una vergogna di fronte al paese e al mondo. Oggi esiste un grande intento unitario, c’è coordinamento fra tutte le strutture del paese in cui ci incontriamo o in cui abbiamo territori in comune, abbiamo deciso di confluire nello stesso processo di pace in modo che ci siano due tavoli di dialogo con il governo. Sul piano concettuale, diciamo che portiamo avanti una guerra rivoluzionaria di potere popolare per una nuova nazione. Che è anche risposta alla guerra che il regime ha imposto agli ultimi, e che si perpetua da quando gli stranieri hanno calpestato il nostro suolo oltre 500 anni fa. Da allora, e salvo per brevi periodi, le guerre non sono mai finite. Per questo è falso dire che in Colombia c’è una democrazia. Le oligarchie sono unite e legate a doppio filo ai progetti imperialisti per imporre al popolo i loro disegni. I governi nordamericani che si sono succeduti continuano a considerare l’America latina come il loro “cortile di casa” per questo è così dura la lotta, la libertà e l’indipendenza di questi popoli. Per gli Usa è un affronto al loro potere di gendarme. Siamo orgogliosi che ci chiamino guevaristi. Il Che è il simbo di lotta popolare, di umanesimo, di unità tra i popoli e di antimperialismo, tutto questo forma la nostra identità. Questo ha detto il Che della guerra di guerriglia: «La guerriglia è parte integrante della lotta di liberazione dei popoli, nella quale si combinano le forme della lotta armata con la lotta politica delle masse per raggiungere ampi obiettivi comuni». Anche noi la vediamo così e alziamo la fronte quando ci chiamano guevaristi. Da diversi anni abbiamo coniato lo slogan di «stare con gli altri». La Colombia è un paese di Città-Regioni, sono realtà che si integrano, sono interdipendenti e questo caratterizza il paese. Abbiamo una grande ricchezza storico-culturale, ciò richiede una concezione di unità popolare e rivoluzionaria ampia, plurale e inclusiva. Ci sentiamo rappresentati dal pensiero del sacerdote e guerrigliero Camilo Torres quando ha detto che dobbiamo unirci in base a quel che ci accomuna e non allontanarci esacerbando le differenze. Solo agendo così otterremo la vittoria. L’Eln è parte della strategia latinoamericana secondo la quale per il trionfo popolare si richiede l’unità dei popoli, contro il nemico comune, l’imperialismo. Come ha detto il nostro Libertador Simon Bolivar, siamo una grande nazione latinoamericana e caraibica, ossia, siamo popoli della nostra America. Essere rivoluzionario oggi non è solo lottare per la felicità dell’umanità, ma lottare per vivere in armonia con madre natura, con una cosmovisione che superi la distruzione e i danni che oggi il capitalismo causa al pianeta.

Cuba e Venezuela sono garanti nei negoziati. Cosa pensa di ciò che accade nei paesi socialisti latinoamericani?

Dal punto di vista militare e materiale, le lotte dei popoli sono altamente diseguali. Gli Usa sono una gigantesca macchina militare, e sviluppare le lotte indipendentiste e di liberazione nazionale implica assumere questo compito antimperialista, per questo è indispensabile l’unità. Noi abbiamo detto che Cuba è la dignità dell’America, lo stoicismo di questo popolo non ha paragoni se si tiene conto del criminale blocco economico degli Usa. Cinquant’anni dopo, gli Usa devono riconoscere che la loro politica fu sbagliata. Il trionfo recente di Cuba nel ristabilire di nuovo le relazioni diplomatiche con gli Usa e recuperare “i 5” è contundente, soprattutto perché la ragione si impone sull’arbitrio e la calunnia. La leadership ammirevole del presidente Chavez, in oltre 10 anni durante i quali è stato presidente del popolo venezuelano è la dimostrazione più chiara e convincente della capacità di questo popolo di produrre sue autentiche leadership. La fusione di popolo e leader ha consentito un salto nello sviluppo della lotta rivoluzionaria. Al contempo, il Presidente Chavez ha vissuto la sua vita a grandi passi per forgiare un governo, creare un partito, organizzare le milizie e il popolo e aumentarne la coscienza. Tutti questi sono stati elementi decisivi in un processo popolare rivoluzionario. Nell’ambito internazionale, Chavez ha lasciato in eredità ai popoli d’America e dei Caraibi la spinta all’unità della regione, sul piano politico ed economico, e ha compiuto passi importanti per la difesa comune. Tutte queste questioni strategiche si sono convertite in altrettanti punti di forza del processo rivoluzionario nella nostra sorella Venezuela. Era logico aspettarsi la risposta imperialista e della destra non solo venezuelana ma latinoamericana, quella che Gene Sharp definisce come «golpe blando» e che si estende oggi a diverse latitudini del pianeta per destabilizzare e abbattere governi democratici, progressisti e rivoluzionari, in cerca di liberazione nazionale, e di una vera indipendenza. Pur riconoscendo le difficoltà esistenti, l’Eln loda la forza popolare e antimperialista del processo popolare e rivoluzionario della Repubblica bolivariana del Venezuela e la guida sicura del suo presidente Nicolas Maduro e degli altri quadri del governo, uniti ai loro patrioti e rivoluzionari della Forza armata bolivariana.

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Pensa che possa esistere un’articolazione tra le forze che si battono per il cambiamento in America latina e in Europa?

Poiché il sistema capitalista è uno solo – nel pieno della sua crisi profonda e irreversibile e con note crepe al suo interno e nelle sue dinamiche – i popoli del mondo devono capire che è indispensabile unire le lotte che tutti sviluppiamo. Urge che questa unità si concretizzi attraverso le organizzazioni popolari e sociali, attraverso i governi democratici, patriottici e rivoluzionari, a partire dalla loro specificità nelle lotte anticapitaliste e antimperialiste.

 

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