Si fa festa nell’ufficio di Abaad a Furn el Chebbak, alla periferia di Beirut. «È un grande giorno, è una grande vittoria per le donne libanesi», ci dice accogliendoci Soulayma Mardam Bey, una delle responsabili di questa piccola ma agguerrita ong libanese (www.abaadmena.org) che si batte per i diritti delle donne e contro la violenza di genere. Due giorni fa la Commissione Giustizia del Parlamento, dopo una lunga battaglia condotta da Abaad, ha votato l’abolizione dell’articolo 522 del codice penale che garantisce l’immunità agli stupratori che sposano le loro vittime. Manca ancora il voto dell’assemblea parlamentare ma, assicura Mardam Bey, «ci sentiamo al sicuro, il presidente della commissione, Robert Ghanem, garantisce l’appoggio di tutte le forze politiche contro quell’articolo. Non si torna indietro». Si aspetta perciò la prima riunione utile dell’assemblea per scrivere la parola fine sull’articolo 522 e impedire, come sottolinea lo stesso Robert Ghanem, che ciò che sarà abolito non verrà ripresentato sotto altre forme in futuri progetti di legge. Assicurazioni in tal senso sono giunte anche dal primo ministro incaricato Saad Hariri che l’altro giorno, con un tweet, ha manifestato la sua soddisfazione per la decisione presa dalla Commissione Giustizia del Parlamento.

È costata mesi di impegno quotidiano ad ogni livello, mediatico e in Parlamento, la campagna contro il matrimonio riparatore dello stupro. Determinante è stata anche la collaborazione offerta da altre ong che ugualmente si battono per i diritti delle donne, in particolare durante la recente mobilitazione internazionale contro la violenza di genere. Più volte le attiviste di Abaad sono scese nelle strade del centro di Beirut, l’ultima martedì in piazza Road al Sohl, indossando abiti da sposa insaguinati ed issando cartelli con la scritta «Il matrimonio non può cancellare lo stupro». L’aspetto più complesso, aggiunge Mardam Bey, «era l’atteggiamento delle famiglie delle donne stuprate oltre alle paure e alle comprensibili esitazioni del vittime della violenza sessuale, spesso appena adolescenti, a denunciare apertamente il loro aggressore e a respingere il matrimonio cosiddetto riparatore».

Il Libano non è l’area tra Hamra e Achrafieh che forma più o meno il centro di Beirut, aperto e cosmopolita, dove, in apparenza, le donne godono di ampia libertà in confronto a quelle di altri Paesi della regione. Domina sempre la famiglia patriarcale. Il degrado, la disoccupazione, la povertà, il sovraffollamento già ben visibili alla periferia della capitale libanese, sono determinanti per tenere in piedi una società che resta profondamente conservatrice, soprattutto nelle campagne e nei piccoli centri abitati. Aree dove il rispetto di tradizioni vecchie di secoli va ben oltre le retrizioni imposte dalle religioni alle donne. «La difesa dell’onore della famiglia – ci spiega Mardam Bey – ancora oggi spinge tante donne, soprattutto quelle più giovani, a rimanere in silenzio dopo aver subito uno stupro e ad accettare la soluzione preferita da non pochi genitori di un matrimonio che copre la violenza avvenuta e salva l’aggressore da un processo». L’articolo 522 del codice penale, di cui si attende la definitiva abolizione, di fatto legalizza questa “soluzione sociale” che piace alle famiglie e che nega alle donne la possibilità di far incriminare e condannare gli stupratori. «Non è facile, i problemi non sono risolti però si segnalano anche dei miglioramenti» aggiunge Mardam Bey «ad esempio le gerarchie religiose, di ogni fede in Libano, si sono espresse a sostegno della nostra campagna per l’abolizione dell’articolo 522 del codice penale e a favore della condanna degli stupratori».

Adaab, che opera grazie a donazioni di grosse ong internazionali, è intenzionata a spingere l’onda del cambiamento sociale, tenendo però fede al suo impegno principale contro la violenza sulle donne. Dal 2011, quando è stata fondata, l’ong ha sviluppato diversi progetti. Uno dei più importanti è quello degli shelter, appartamenti per le donne che fuggono dalle violenze, soprattutto quella domestica. «Abbiamo shelter segreti che offrono rifugi sicuri alle donne a rischio – conclude la rappresentante di Abaad -, donne spesso molto giovani alle quali offriamo anche assistenza clinica e terapia individuale o di gruppo. Siamo al lavoro tutto l’anno, 24 ore su 24, per garantire aiuto e consulenza alle donne in pericolo o che hanno già subito abusi. E abbiamo avviato anche un programma per aumentare la consapevolezza degli uomini sulla violenza di genere». Tra il 2013 e il 2015 Abaad ha fornito un riparo sicuro a 317 donne libanesi in situazioni di pericolo di vita.

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