Mentre scriviamo è in corso il pressing di Nazioni unite e diplomazie occidentali per una soluzione negoziale della crisi libica. I colloqui si stanno svolgendo a Rabat in Marocco e proseguiranno in Algeria e a Bruxelles, anche in presenza di rappresentanti delle tribù libiche. Eppure la strada per una soluzione diplomatica della crisi sembra impossibile.

Le bombe all’hotel Corinthia del gennaio scorso avevano anticipato l’intransigenza che i militari di Tobruk mostrano verso gli islamisti di Tripoli. Forse solo l’espansione fuori controllo dei jihadisti, confermata ieri dai Servizi segreti tedeschi, potrebbe costringere le due fazioni a trovare un accordo. E così questa volta pare che l’intransigenza dei militari verrà placata. L’esercito pro-Haftar ha confermato il cessate il fuoco di tre giorni per dare una chance al dialogo.

Nonostante ciò jet militari di Tobruk hanno bombardato l’aeroporto di Tripoli, andato distrutto nella battaglia tra milizie della scorsa estate. La Compagnia nazionale libica (Noc) ha lanciato poi lo stato di massima allerta nell’area circostante a undici pozzi petroliferi accusando il governo di Tripoli di non garantire la sicurezza dei giacimenti. Ieri erano stati attaccati dai jihadisti i campi petroliferi di Mabruk e Dhahra. La Noc ha riferito di furti, sabotaggi e distruzioni continue che mettono a tappeto l’attività estrattiva.

Anche il governo italiano, che ha inviato nei giorni scorsi le navi della marina militare verso le coste libiche, è tornato a fare pressioni per una soluzione negoziale garantendo alla Russia di Putin un ruolo centrale nella soluzione della crisi. Questo potrebbe ulteriormente rafforzare l’asse Sisi-Haftar, da tempo favorito da Putin, ed esacerbare lo scontro tra fazioni che dilania il paese. Per mesi sulla stampa mainstream è andato di moda lo scontro tra sciiti e sunniti; ora la guerra in Libia ha spostato l’attenzione sulla guerra intra-sunnita. In altre parole, nel paese sarebbe in corso lo scontro tra Stato e islamisti.

Ai primi farebbe riferimento l’esercito di Haftar, ai secondi il blocco islamista dai jihadisti ai Fratelli musulmani. Ma questa interpretazione è fuorviante. Se davvero è in corso una guerra tra sunniti in Libia: militari e jihadisti sono due facce della stessa medaglia. Insomma il vero scontro è tra businessman sauditi e degli Emirati che preferiscono i militari, da una parte, e uomini d’affari, di uguale provenienza, che prediligono i jihadisti, dall’altra.

Così l’avanzata dei jihadisti nel lungo periodo non può che favorire i militari come unica forza capace di riportare la stabilità nel paese. Di certo la marcia dei sedicenti Isis verso Derna e Sirte, che ora sarebbero libere da terroristi, ha favorito il sodalizio Sisi-Haftar. Il flusso di denaro dall’Arabia Saudita su due canali separati ma contigui (verso militari e jihadisti) va avanti da anni. E riprende la stessa linea di finanziamento che ha foraggiato militari egiziani e salafiti. Dopo le rivolte del 2011, i movimenti salafiti sono fioriti in Medio oriente non come opposizione allo Stato ma per contenere l’islamismo politico e fare gli interessi dello Stato.

Così come è nell’interesse di al-Sisi che ci sia il terrorismo nel Sinai, è interesse di Haftar richiamare l’attenzione del mondo all’avanzata dei jihadisti a Bengasi e in tutto il paese.
In questo tra élite finanziarie saudite che appoggiano i militari o i salafiti secondo le loro simpatie, si inseriscono le principali vittime: i Fratelli musulmani libici. Questi ultimi hanno visto i salafiti arricchirsi negli ultimi anni e mangiare gran parte della loro capacità elettorale quando si è votato. Non solo, hanno visto gli islamisti radicali passare dalla parte dei militari in base a convenienze politiche, come è avvenuto anche dopo il golpe militare del 3 luglio 2013 in Egitto.

Agli islamisti moderati in questo contesto non resta altro che la sconfitta certa. Ovviamente la Fratellanza di Tripoli ha il sostegno di una parte dell’esercito che mai appoggerà il tentativo di Haftar di conquistare la Libia. E anche dei miliziani di Misurata. Questi gruppi non possono essere paragonati ai jihadisti che indirettamente sostengono i militari. Sono invece vere forze di resistenza, alla stregua del braccio armato di Hamas ed Hezbollah, costrette a lottare per la propria esistenza.