Ci sono foto che -Michelangelo Antonioni docet-, attraverso la mera riproduzione, si traducono in rappresentazione, allegoria, racconto. La foto che riproduciamo, per il messaggio di cui si fa portatrice, diviene un’icona, a pieno diritto,del XX° secolo. Riusciamo oggi a dare un nome a molti dei personaggi -i più importanti- che affollano il parterre, coloro che in prima battuta credemmo dei semplici curiosi. Un morto ammazzato il cui sangue intride un lenzuolo nìveo costituisce il pretesto per la kermesse, uno spettacolo macabro per gente che a tutta prima sembra bighellonare senza costrutto, avvolta nelle contraddizioni della banlieue.
Il personaggio contrassegnato dal n.1 è tale Pasquale Esposito, un elemento ambiguo coinvolto in una storia analoga a quella della UNO bianca non ancora completamente scritta. Al n.2 compare,con i baffi finti, Dante Filacchione, ufficialmente responsabile di una biblioteca periferica verosimilmente usata come copertura di attività criminali, sposato con Anna Maria Cavola, figlia di un ex-dirigente ENI; il nome di Cavola sarà presente in una lista di 120 nomi in possesso di Pasolini di cui parleremo più avanti. Ai punti 5,6 e 8 troviamo tre personaggi che faranno parte, anni dopo, della Banda della Magliana: Massimo Barbieri (libero al momento dello scatto, risulterà recluso a Regina Coeli dall’11 al 19 novembre successivi), Nicolino Selis (era evaso o fatto uscire da Regina Coeli il 27 ottobre, ripreso o rientrato il 6 novembre ed evaso il 10 successivo) e Maurizio Abbatino conosciuto poi come Crispino. Quello che abbiamo ritenuto per molto tempo un poliziotto in borghese, in primo piano con il giubbotto di pelle nera nell’atto di accendere una sigaretta, è invece il Ciancia (n.7). Di costui conosciamo, al momento, solo il nickname affibbiatogli per una certa propensione alla logorrea, un personaggio conosciuto allora tra i banchi di Porta Portese ma che molti ritengono pesantemente coinvolto nel furto di pellicole al fotografo Antonio Monteforte, autore di scatti ormai storici (il cadavere carbonizzato di Stefano Mattei nel rogo di Primavalle, Donatella Colasanti che emerge dal bagagliaio della 127 dopo il massacro del Circeo) e, anche, autore degli scatti all’Idroscalo. È morto nel ’93 in circostanze misteriose. Abitava a Casal Palocco. Una mattina, diretto a Roma in sella alla sua moto, venne investito da un camioncino proveniente dal Drive-in che non rispettava il rosso. Le forze dell’ordine constateranno che il furgone è rubato e l’autista fuggito. Non vennero ritrovati né la macchina fotografica del reporter né il borsone con le pellicole. Ignoriamo il valore che il materiale trafugato potesse rivestire per il ladro ma già nei giorni del delitto Pasolini girava voce che qualcuno volesse far sparire i negativi del reportage: solo oggi ne capiamo il perché.
Al n.9 troviamo l’ Albino -anche di lui conosciamo solo il soprannome- che insieme a Scimmietta rapì Diego Cimara sequestrandolo per ore. Il giornalista RAI era intervenuto subito con la sua troupe appena ricevuta la notizia dell’omicidio ed aveva iniziato il suo lavoro di indagine intervistando i ragazzi che deambulavano neghittosi nello sterrato. Questi, a poco a poco, lo avevano convogliato in uno scantinato di piazza Gasparri ‘esigendo’ un compenso per l’intervista o, meglio, un riscatto per la sua liberazione. Scimmietta, dicevamo, faceva parte del gruppo e non è peregrino pensare che fosse presente, anche lui, quella notte all’Idroscalo. Era al volante di un’Alfa dello stesso modello di quella di Pasolini (attenzione, a questo punto le Alfa Romeo dell’identico modello presenti all’Idroscalo la notte del massacro potrebbero essere tre: quella di Scimmietta, quella dello scrittore e, la più importante, quella di Antonio Pinna; è evidente lo scopo di presenziare al sabba con due vetture identiche a quella dell’intellettuale) quando, in fuga dall’Idroscalo, andò a schiantarsi a Torvaianica contro il muro di cinta della villa di Tognazzi. Ricki Tognazzi e Franca Bettoja non hanno memoria dell’episodio ma è comprensibile: a settembre la villa veniva chiusa fino alla stagione successiva, la notizia non uscì sui giornali e la Polizia stessa non diede risalto all’avvenimento. Scimmietta morì sul colpo, il suo compagno riuscì a dileguarsi. Selis e Barbieri -particolare misconosciuto- erano i custodi di un poligono di tiro ad uso e consumo della mala proprio nell’area dell’Idroscalo.
Con Maurizio Abbatino avevo chiesto un incontro attraverso il Ministero degli Interni; il suo rifiuto, mi fu risposto, era da considerare ad personam, lui proprio non aveva voglia di incontrarmi. Mi ero rivolto allora al suo avvocato, Alessandro Capograssi, il quale accettò di buon grado di incontrarmi. In mia presenza chiamò al telefono il suo assistito riferendogli i miei dubbi sulla foto. Abbatino sembrò sfuggente affrettandosi comunque a dire che lui, con quella storiaccia, non c’entrava per niente. E però chiese al suo legale di mandargli la foto, poi ci saremmo risentiti (faceva balenare così che potesse essere proprio lui ad essere raffigurato insieme agli altri). Non ho più avuto notizie né di lui né del suo legale; in compenso, qualche tempo dopo, rilasciava un’intervista al «Fatto quotidiano» su temi generici dal tenore vagamente agiografico.
E veniamo all’elemento di grossa novità, i nomi che costituiscono la scaturigine dell’omicidio. Pasolini scriveva: «Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi». Nel momento in cui scriveva il suo j’accuse , egli andava prendendo appunti, riceveva informazioni -molte da politici di cui aveva chiesto la collaborazione-, formava un suo archivio privato e alla fine, dopo indagini infinite, quei nomi li seppe, li riportò rigorosamente in una lista di 120 che custodiva gelosamente nella sua cassaforte nell’ abitazione di via Eufrate. Erano i nomi coinvolti nel tentativo di golpe, quelli che crearono «una crociata anticomunista con l’aiuto della CIA». Vi comparivano alti responsabili dei Servizi Segreti, giornalisti collusi, personaggi dell’Arma importantissimi. La lista venne trafugata sei mesi prima di morire, il furto non fu denunciato. Più semplicemente, Graziella Chiarcossi lo comunicò al Capo della Squadra Mobile Masone chiedendo di poter avere indietro i gioielli della zia… Infelisi e Domenico Sica vennero a conoscenza del furto e della sua rilevanza ma non ci consta che si attivassero in qualche modo, non diedero importanza né rilievo all’avvenimento. I mandanti avevano così materiale sufficiente -Appunto 21 a parte- per decretare la condanna a morte dell’intellettuale.
Alla luce di queste evidenze,la foto si offre dunque come contraltare alla notte del sabba. Lì il buio aveva tentato di avvolgere in una coltre di oblìo le fasi dell’assalto, qui viene riprodotta una situazione di calma apparente, pur nelle condizioni che hanno visto il consumarsi di un dramma inenarrabile. Ci sono da una parte volti distratti, dall’altra altri morbosamente attratti da quel lenzuolo insanguinato. Sembra una quinta di un teatro: in primo piano la scena con un attore involontario che fa la parte del morto, dietro la platea. Ma è semplicemente il risvolto della medaglia. Si assiepano intorno al morto ammazzato lupi famelici riuniti a vario titolo e per conto di tribù diverse. Per sincerarsi che la preda morta lo sia davvero, per riferire a chi di dovere che il sabba si era concluso come da programma, qualcuno per farsi avanti ed offrirsi come manovalanza per altri e più ‘alti’ incarichi.