Può un filosofo essere nello stesso tempo un pragmatista e un profondo assertore dell’elemento irrazionalistico di fondo che caratterizza l’umano esistere? Può subordinare la conoscenza, il pensiero, perfino la ragione, alla vita e all’azione, proprio mentre afferma il carattere oscuro, arbitrario, inconsapevole e in fondo irrazionale di ogni dottrina o credenza? Ovviamente sì, se quel filosofo risponde al nome di Miguel De Unamuno (1864-1936), uno che ha vissuto quella sostanziale dicotomia sulla propria pelle di pensatore inquieto e tormentato, ma forse per questo anche libero.

Alla costante ricerca della fede e della speranza in una vita immortale da una parte, ricerca portata fino alle più estreme esasperazioni irrazionalistiche, ma dall’altra anche pragmatico e razionale (e quindi disilluso e angosciato) rispetto alla consapevolezza che quella tensione umana deriva dal bisogno di illudersi e di coltivare la speranza in un dato ulteriore che trascenda la limitatezza (e la sofferenza) del mondo umano.

Insomma, proprio negli anni in cui Sigmund Freud decretava che l’uomo cede volentieri una parte della propria libertà in cambio di sicurezze e tutele, magari provenienti da presunte entità trascendenti, questo originalissimo filosofo, drammaturgo, letterato e poeta spagnolo sperimentava la sua personalissima e tormentata libertà proprio nella «volontà di credere».
Volontà di credere in un Dio che, però, con l’ausilio della ragione, Unamuno sapeva benissimo che può essere un «Dio del sogno», un «Dio irrazionale» a cui abbandonarsi solo grazie al sentimento della speranza in quell’immortalità che, sola, potrebbe fornire un senso al viaggio disperato dell’uomo in questo mondo.

Per cogliere a fondo questi aspetti che legano religione e filosofia, desiderio di fede e irrinunciabilità della ragione, si possono leggere i testi di Unamuno che Armando Savignano, ordinario di filosofia morale a Trieste e studioso di lungo corso della filosofia spagnola, ha raccolto, curato e tradotto in M. De Unanumo: filosofia e religione, (Bompiani, testo spagnolo a fronte, pp. 1489, euro 35).

In quasi cento pagine di saggio introduttivo, vasti apparati critici, note esplicative dei testi, biografia dell’autore e bibliografia diretta e indiretta, Savignano offre al lettore italiano, per la prima volta in maniera così ampia e sistematica (e di ciò va riconosciuto il merito anche alla casa editrice), la summa filosofica e letteraria di un pensatore poco conosciuto nel nostro paese, che non si lascia incasellare all’interno di schemi definitori rigidi ed escludenti, ma che proprio per questo manifesta i bagliori di un’originalità che può essere apprezzata tanto dagli studiosi quanto dagli appassionati di filosofia e religione.

Nelle opere filosofiche come in quelle narrative, infatti, Unamuno sembra rivelarsi come un pensatore sistematico che, mischiando registri comunicativi diversi, riesce a descrivere il romanzo esistenziale dell’uomo moderno, che da una parte è costretto a prendere atto della «morte di Dio» decretata da Nietzsche, ma dall’altro sente il bisogno impellente di non rassegnarsi a che tutto finisca qui, con la vita mortale. In questo senso ci dice che siamo tutti dei Don Chisciotte, individui pervicacemente attaccati all’utopia necessaria di perpetuare la nostra «personalità», di non arrenderci a quello che San Paolo definiva l’«ultimo nemico» dell’uomo, ossia la morte.

Struggente e in qualche modo riassuntiva di tutta la speculazione di Unamuno, si rivela la figura di San Manuel, protagonista dell’omonimo romanzo del 1928, nonché ultima opera del filosofo spagnolo. Egli, infatti, si ritrova ad aver perso la fede, ma appunto con spirito donchisciottesco decide comunque di dedicarsi ai suoi fedeli, di supportarli nella loro fede e nella speranza di una vita ultraterrena che li ripaghi delle angosce e sofferenze di questo mondo. Dio potrebbe anche non esistere, ma l’uomo sì. Questo il suo lascito più radicale.