Oggi quando dopo nemmeno 72 ore dalla prima volta, ho visto sotto i miei occhi un bimbo cadere a testa in giù nella piscina della casa di campagna di mio padre, ho pensato: cacchio, allora succede davvero, così, facilmente. Questo sapeva nuotare, non rischiava niente, eppure la visione è stata impressionante lo stesso.

 
Ho guardato molti film nella mia vita, ho letto molti romanzi, ho intervistato molte persone e ascoltato molte storie, narrate dai diretti interessati, da intermediari, da cantori. Nel mio immaginario di donna nata sotto il segno dei pesci l’acqua ha sempre conservato un alone di mistero e pericolo, di attrazione e abisso al medesimo tempo. Ma, per spirito di conservazione, tendo a ricordare solo i racconti finiti bene.
Penso a Caos calmo – romanzo premio Strega 2006 di Sandro Veronesi da cui fu tratto un film con la regia di Antonello Grimaldi (2008) interpretato da Nanni Moretti (nel ruolo del protagonista Pietro Paladini) che di prima scena salva la bella cognata dall’annegamento in mare.

 

 

Penso a La vita è meravigliosa (Frank Capra, 1946) – capolavoro intoccabile della storia del cinema – in cui George Bailey (James Stewart), strozzato dai debiti, pronunciando la battuta finale «vorrei non essere mai nato», si tuffa nel fiume gelato alla vigilia di Natale sotto lo sguardo di Clarence, angelo custode senza le ali che, dopo averlo salvato, gli mostra come sarebbe stato il mondo senza la sua esistenza.

 
Come chiunque l’abbia vista, mantengo tatuata a fuoco nella retina l’immagine di Joe Gills (William Holden), il corpo che giace a testa in giù nella lussuosa piscina hollywoodiana della divina e appassita Norma Desmond (Gloria Swanson) – narratore defunto che racconta a ritroso tutta la vicenda attraverso la voce fuori campo (magistrale espediente cinematografico usato qui per la prima volta da quel geniaccio di Billy Wilder con lo sceneggiatore Charles Brackett) – in Viale del tramonto (1950). Felici immagini fatate di corpi vivi sottomarini sfavillano negli occhi di tutti: la sposa dal velo bianco de L’Atalante (Jean Vigo, 1934), per sempre evocata sulle note di Patti Smith, grazie al geniale montaggio di Enrico Ghezzi nella sigla di Fuori Orario; i guizzanti corpi nudi di Romy Schneider e Alain Delon ne La piscine (Jacques Deray, 1969) di cui, a giorni, vedremo in concorso al festival di Venezia il remake di Luca Guadagnino; e tante altre ancora…

 
Eppure … nulla cancellerà dalla mia mente l’immagine reale di una testolina bionda a pelo d’acqua, – non fantoccio ma carne e ossa incapaci di tenersi a galla – che, naturalmente, affonda. Un’avventura finita bene – io e la madre ci troviamo sul lato opposto della piscina, lei appena entrata in acqua io non ancora – corro lungo i dodici metri. di lunghezza della vasca, il bimbo è vicino al bordo, mi sporgo, immediatamente lo acchiappo da sotto e lo sollevo fuori, durata totale di venticinque secondi forse, tosse, sputacchi, rutti e lo trattengo a me in un grande abbraccio, non interrotto neppure dalla madre, divenuta consapevole del mio coinvolgimento nel salvataggio estemporaneo del suo discendente.

 
E allora propongo corsi di nuoto obbligatori ai neonati appena usciti dalla pancia, per non perdere l’abitudine al galleggiamento dopo il liquido amniotico, braccioli e giubbetti salvagente forzosi a tutti coloro che stanno a trenta metri da una pozza d’acqua, inderogabili brevetti di salvamento a genitori, zii, nonni, cugini, suoceri, matrigne e parenti lontani. Affinché io non debba più perdere vent’anni di vita dall’ansia. Grazie.

sargentini@alice.it