Negli Stati uniti e in Gran Bretagna, per motivi diversi, continua il dibattito su Isis e rapimenti. Specie negli Usa, le immagini dello sgozzamento di James Foley, hanno riattivato gli animi di chi da tempo spinge per un intervento più determinato in Siria, capace di colpire in modo preciso l’esercito dell’Isis. Ieri il New York Times ha dato ampio spazio alle parole del capo degli Stati maggiori riuniti Martin Dempsey. Quest’ultimo ha parlato in una conferenza stampa al Pentagono insieme al segretario alla Difesa Chuck Hagel, che ha definito l’Isil come «la minaccia più grande per gli Stati uniti», qualcosa che «va al di là di un gruppo terroristico e che va oltre quantoabbiamo mai visto: sposano l’ideologia ad un’abilità militare strategica e tattica sofisticata e sono ben finanziati».

L’Isis, ha specificato Dempsey, «è un’organizzazione terroristitica che ha una visione strategica apocalittica da fine del mondo che alla fine sarà sconfitta». Ma, ha sottolineato, «se mi chiedete se possa essere sconfitta senza affrontare quella parte dell’organizzazione che si trova in Siria, la mia risposta è no».

Fatte queste premesse, il generale e il segretario alla Difesa non hanno fornito alcuna indicazione che lasci pensare ad un prossimo via libera ad un intervento da parte del presidente Barack Obama, sul modello di quanto avvenuto due settimane fa per il nord dell’Iraq. Dempsey ha invece chiarito che contro lo Stato islamico serve «una varietà di strumenti, di cui i raid aerei sono solo una piccola parte». «Non faccio previsioni su quello che succederà in Siria, almeno per quanto riguarda gli Stati uniti -ha specificato – ma saranno necessari tutti gli strumenti a disposizione, diplomatici, economici, di intelligence e militari».

Parole che pongono molti dubbi sulla strategia siriana degli Usa, quanto meno per quello che riguardo i mesi passati. Ma l’imbarazzo traspare e ufficializzare oggi quanto sembra chiaro da giorni, ovvero la consistenza dell’Isis come esercito guidato da esperti militari, appare all’opinione pubblica americana una ennesima tardiva risposta da parte di un Obama, cui viene rinfacciata una «debolezza» nella politica estera.

Anche in Gran Bretagna il dibattito è aperto ed è anche macchiato dalla probabile partecipazione di molti inglesi nell’esercito del «Califfo» al Baghdadi. Ieri un ex capo di Stato maggiore dell’esercito britannico, Lord Dannatt ha ritenuto opportuno sottolineare come solo con una nuova – e per certi versi clamorosa – alleanza con Assad, sarà possibile sconfiggere l’Isis, sottolineando che «arriverà il momento» in cui i Tornado della Raf passeranno dalla attuale missione di sorveglianza ad una di combattimento.

«Se si deciderà per raid aerei sulla Siria bisognerà avere l’approvazione di Assad», ha detto Dannatt alla Bbc. Ha quindi ricordato come anche nel rapporti con l’Iran «il vecchio detto il nemico del mio nemico è mio amico comincia ad avere una eco». L’ipotesi paventata è stata però respinta seccamente dal governo inglese che ha fatto sapere di escludere la possibilità di «lavorare con Assad» nel fronteggiare la minaccia dell’Isis. Lo ha detto il ministro britannico degli Esteri, Philip Hammond, dopo che da più parti si era indicata la necessità di un dialogo con il presidente siriano per rispondere all’avanzata del Califfato in Iraq e Siria. Non sarebbe «pratico, sensato o utile», ha detto Hammond.