Il sospetto nasce spontaneo: perché l’Ocse non ha presentato le proiezioni della crescita prima dell’Ecofin di Milano?

Il vertice europeo si è concluso con un nulla di fatto, con vaghe promesse di rilancio degli investimenti in accordo-partnership con i privati. Il vertice ha ri-modulato il suo solito cliché: la crescita è lenta e occorre rilanciare gli investimenti senza perdere di vista i così detti risultati delle politiche di bilancio fino a oggi raggiunti. Le riforme strutturali necessitano di tempo per dare risultati. Nel frattempo provate a vivere e fare impresa. Per quale motivo una impresa dovrebbe progettare degli investimenti quando la crescita del reddito, cioè i potenziali consumi, sono negativi e quando i tassi di utilizzo degli impianti sono al di sotto della media necessaria per coprire almeno i costi fissi?

Non sorprendono i dati di Ocse e S&P. In questi anni non è stata adottata nessuna misura che in qualche modo potesse alimentare il motore (vecchio) della macchina europea, mentre quello dell’Italia dobbiamo proprio cambiarlo. Se siamo l’unico paese che non cresce tra i paesi G7 un qualche motivo ci sarà.

Ricordate gli 80 euro di Renzi? A maggio l’Ocse prevedeva una crescita dello 0,5%. Sono passati appena 3 mesi e la stima di crescita per il 2014 scende a meno 0,4%. Standard & Poor’s è più delicata, ma la sostanza non cambia: crescita zero per il 2014. In particolare continua a vedere il Paese bloccato nella recessione (che eufemismo) e valuta che l’impatto del bonus da 80 euro, unitamente all’accelerazione del pagamento dei debiti arretrati della Pubblica amministrazione, sia residuale: 0,1% del Pil. Se aggiungiamo le considerazioni di S&P circa il crollo della domanda interna dovuto al blocco dei salari, abbiamo fatto bingo.

Ministra della Pubblica amministrazione Madia, intende ancora bloccare i salari dei dipendenti pubblici dopo questa denuncia? Ma il quadro non è completo. Avete presente la così detta capacità delle imprese italiane di esportare? Aumenta il fatturato legato all’export. Peccato che la quota internazionale dell’export italiano si riduce progressivamente. Ormai siamo prossimi al 3%.

Tutti i Paesi subiscono la crisi, ma l’eurozona, e più in particolare l’Italia, sono la prima nel purgatorio, l’altra all’inferno. Solo la Germania e l’area di riferimento stanno un attimo meglio, ma la caduta nella spirale della depressione di gran parte dei paesi europei avrà ripercussioni durissime anche per questi paesi. Il vertice di Milano Ue ha spinto per rafforzare il legame con i Paesi asiatici, ma il mercato di riferimento rimane quello europeo.

L’Italia è un malato molto grave. Ormai il gap strutturale di minore crescita annuo rispetto alla media europea è pari a 1,5 punti Pil. Durante la crisi (2008-2013) l’Italia è cresciuta meno dei paesi europei di 7,7 punti di Pil, mentre con il 2014 la differenza potrebbe raggiungere i 9 punti. Le previsioni per il 2015 sembrano un soffio più positive. Non credeteci! Se consideriamo quanto accaduto negli anni passati, il 2015 sarà, purtroppo, molto peggio del 2014.

Con gli economisti Paolo Pini e Stefano Lucarelli si è spesso discusso della situazione italiana. Registriamo problemi di struttura e di domanda. Né la struttura e né la domanda sono stati l’oggetto di una politica economica. Immaginare il 2015 migliore del 2014 è come credere agli extra terrestri. Forse ci sono, ma nel dubbio facciamo anche qualcosa di buono per noi.

L’aspetto drammatico è il seguente: mentre i paesi che hanno rafforzato la spesa pubblica e il peso/ruolo delle rispettive banche centrali hanno segnato dei miglioramenti, in Europa, dove le riforme strutturali, buone tra 3-4 anni, sono la politica, la crescita è al palo e l’occupazione segna i minimi storici.

Parafrasando un grande film potremo farci la seguente domanda: c’è di peggio? Si! Potrebbe piovere. La pioggia della legge di stabilità.

La domanda interna diminuisce? Bene. Tagliamo la spesa pubblica per 23 miliardi, privatizziamo quel poco di pubblico che potrebbe fare politica industriale (0,7% di Pil di entrate), svendiamo le public utility per 3 miliardi, tagliamo l’Irap alle imprese in attesa che facciano investimenti (5 miliardi di minori entrate), nonostante il costo del lavoro italiano sia tra i più bassi dell’area Ocse, non aumentiamo i salari del pubblico impiego e continuiamo a favoleggiare su avanzi primari miracolosi, cioè una riduzione della domanda interna, dell’ordine di 3-4 punti di Pil.

L’Italia da anni non cresce più. Ha eroso il risparmio e comincia a intaccare la ricchezza, unitamente a una deflazione che dovrebbe far tremare le vene. La buona stella questa volta non ci aiuterà.

Perseguire il pareggio di bilancio e chiedere solo un allentamento del Fiscal compact non risponde ai problemi che dobbiamo affrontare.

L’unica soluzione è chiedere all’Ue una deroga in ragione dell’eccezionale depressione. È possibile, a patto che si esca dai luoghi comuni: fisco troppo alto, rigidità del mercato del lavoro, eccesso di spesa pubblica. Sono anni che tutti i governi perseguono queste politiche. I nodi sono venuti al pettine. Tutti siamo coinvolti, nessuno è estraneo (cit. Fabrizio De Andrè).