(…) Un’altra data, 1967, si staglia per due secondi sullo schermo nero, prima che il commento italiano lapidario situi l’immagine:
I consigli comunali delle Apuane dove ventitré anni prima Reder e i suoi ammazzarono centinaia di persone si pronunciano contro la richiesta di grazia, dopo il comune di Marzabotto.
La prima di una serie di dieci panoramiche percorre la linea di cresta verde delle colline da sinistra a destra, poi ritorna da destra a sinistra, e si ferma su un paesino: la macchina da presa è fissata sul pendio di fronte. Sant’Anna di Stazzema. La seconda panoramica orizzontale, a 360 gradi, lo filma dall’altro lato, partendo e concludendosi sulla chiesa e l’ossuario in cima alla cresta. Poi, interrotti due volte da qualche fotogramma in nero, scorrono le otto altre panoramiche dei luoghi e dei villaggi che sta a noi reperire : San Terenzio-Bardine-Valla, Vinca (la sola designazione iscritta sul monumento ai morti, nella pano verticale, ripresa dal basso in alto, verso il cielo circondato dalle punte dei cipressi), Pian della Fioba, San Lorenzo-Fosse del Giglio, Bergiola. E Marzabotto, in pano orizzontale, due volte 360 gradi, blocco nel blocco più che piano-sequenza, perché per gli Straub solo la ripetizione può dissinnescare gli effetti troppo mimeticamente naturali del piano-sequenza, e affondare nel tempo per farne riemergere i drammi come eventi. Marzabotto qui e ora, e sempre. Tutte queste panoramiche topologiche, questi paesaggi filmati, una volta di più, dopo un lungo scavo agrimensore teso a trovare il punto strategico, l’altezza e la proporzione in modo da non modificare mai la linea di orizzonte, dissotterrano i fantasmi nascosti della nostra storia. J-M.Sraub: « È una serie di Oradur-sur-Glane, su una linea che va dal Mediterraneo a Bologna, la famosa linea gotica costruita dai Nazisti, destinata a bloccare l’avanzata delle truppe alleate che progredivano verso il Nord. Ma siccome la resistenza italiana logorava i tedeschi alle spalle, loro hanno massacrato, con la complicità dei fascisti italiani, le donne e i bambini che nutrivano i resistenti». Aggiungeremo: con la complicità delle forze alleate sotto gli ordini di non intervento di Churchill, che temeva una deriva comunista dell’Italia liberata.
I fantasmi acquistano un’enorme presenza, coalescente a ciò che si vede e si ascolta. Una donna di Sant’Anna sospira « che caldo » (2° pano), il rintocco del campanile di Badine suona le dieci, né un’ora di più né una di meno (3°), i bambini di San Leonardo giocano, applaudono e ridono davanti alle case popolari di un’Italia dimenticata dal miracolo economico (7°), la facciata anonima di una scuola che domina la strada all’entrata di Bergiola (9°) si staglia come un enigma, ma solo per noi « distrattamente disperati come siamo». Ovunque il brusio sincrono, continuo della vita – una solfatrice per l’uva, il chiocciare di una gallina, un uomo che fischia, seghe agricole nei campi, mosche e martelli, una fontana, dei camion a rimorchio sulle strade; e il silenzio geologico, geofisico delle carriere di marmo delle Apuane che batte la durata di una immanenza eterna implacabile: la respirazione aerea della sesta panoramica, filmata dal picco di Pian della Fioba fa defilare da sinistra a destra la linea di cresta delle montagne per ridiscendere, tuffarsi, lenta, nella valle e poi risalire di nuovo a sinistra fino a puntare la pianura e il mare nel sole. Una ripetizione dopo l’altra, fino alla loro realtà che allucina. I massacrati sono morti per sempre, sarebbe odioso dire e vedere il contrario, eppure… La linea di cresta e d’orizzonte straubiana allucina. Essa rende ai sommersi, misteriosamente, ciò che gli è stato strappato, non i corpi che non risuscitano, ma il desiderio vivo e mortale, da una generazione all’altra, di queste audizioni e di queste visioni, proprio perché non possono più vederle né ascoltarle. I quindici minuti di tutta la sequenza concentrano e decentrano così la rimemorazione storica e il presente di un eterno quotidiano che attualizza la definizione straubiana del «realismo» secondo Brecht: la capacità di partire dal caso particolare concreto per arrivare al generale comune. Franco Fortini scrive nel 1978: «Quando il presente è visto da fuori del presente, esso diventa il luogo sul quale si possono proiettare gli spiriti passati e venturi. Qualcosa è stato distrutto, strappato o soffocato. La storia è una trappola immonda di monumenti, di pietre e di ricordi. ’Non qui ma altrove’ è il pensiero dominante del film. In verità ciò significa: ’non oggi ma ieri e domani’. La panoramica delle Apuane non «dice» soltanto quel che vi è accaduto e quanta calma copra i luoghi delle stragi antiche e moderne; «dice» anche che questa terra è il luogo abitabile per gli uomini, è quello che dobbiamo abitare… la calma era apparente, qualcosa chiamava aiuto… tutta la realtà della lotta «materialista» delle classi vi era inclusa». E bisogna pesare bene queste parole, perché il film di cui parla Fortini, e da dove è tratto il quarto blocco di Kommunisten, è Fortini/cani al quale egli dà il suo nome e la sua autobiografia («della mia vita non m’importa quasi nulla»), I cani del Sinai, scritto nove anni prima, «a muscoli tesi, con rabbia estrema » contro il disprezzo razzista anti-arabo della borghesia italiana e contro l’imperialismo israeliano al momento della Guerra dei Sei Giorni. La voce del commento è la sua, ed è lui, l’intellettuale irriconciliato di estrazione borghese, ebreo e marxista, traditore della sua classe, che vediamo, dopo le panoramiche, filmato in piano fisso, di fronte, profilo destro. Il piccolo uomo dai capelli bianchi, seduto nel patio di un terrazzo in fiore si aggredisce e ci aggredisce, rileggendo il suo testo come se fosse stato scritto da un altro, come una lettera da leggere a un amico assente («Vitalità, passione, immediatezza: in loro assenza non si fa niente. Ma nello stesso tempo, se non muoiono, se non sono allontanate, ammutolite, guardate come beni perduti per sempre e non a noi destinati, non possono diventare ’cibo di molti’».
C’è stato un modo molto reale di dimenticare quegli uccisi: il modo tenuto dalle classi dirigenti italiane nei primi dieci anni del dopoguerra. Oggi si preferisce parlare delle stragi naziste per non guardare la verità di Indonesia, Vietnam, America Latina, Congo. Al fondo c’è una sola dura e feroce notizia: Voi non siete dove accade quel che decide del vostro destino. Voi non avete destino. Voi non avete e non siete. In cambio della realtà v’è stata data un’apparenza perfetta, una vita ben imitata. Così ben distratti dalla vostra morte da godere una sorta di immortalità. La recitazione della vita non avrà mai fine, felici. Il primo piano di Fortini, di fuori e dentro di sé (ecceità), mentre proferisce il suo testo con una voce compostamente irritata – le pause e gli accenti distorti rispetto al linguaggio parlato, espressivo e teatrale («J-M.S. mi ha dato una straordinaria lezione di metrica») – scuote anche la nostra distratta disperazione. La pretesa lezione della storia ha saldato la lotta di classe, ed eccoci ai dibattiti nauseanti del neoliberismo attorno allo scontro delle civilità, sulla pelle di chi non abiura: un palestinese, un arabo ostaggio dei regimi e dei fascisti dello Jihad, un greco e un occupante di Wall Street e un indignado di Madrid e un ghettizzato delle «democrazie»: uno, e, tra altri… In effetti, tutte le date che « storicizzano» Kommunisten – 1933-2014, primo blocco, 1945-2001, secondo blocco, 1919-1981, terzo, e adesso 1967-1944-1976 (1978, dichiarazioni di F.F. comprese) – destituiscono il calendario omogeneo e costituiscono lo spazio-tempo in cui le lotte dei vinti di ieri attendono le sfide di domani. Il blocco egiziano e il blocco Fortini compongono la vasta zona meditativa del film e rovesciano anche l’ordine della biografia cinematografica straubiana come l’aveva suggerita Danièle Huillet: «le lunghe sequenze delle Apuane e di Marzabotto (resistenza e massacro) contengono l’abbozzo di Trop tôt, trop tard»
Di questo choc fuori archivio che collega l’uscita dalla fabbrica africana e rouchiana all’impensato della nostra storia occidentale più terribile da pensare (ma non come vaticinazione impensabile), D.H. sar(à)ebbe fiera.
Evocare i macelli nazisti equivale a chiederne una chiave, un’interpretazione. Quel senso era: (…) di aver riprodotto ad uso di una sola generazione umana quel che diluito nel tempo, nello spazio, nell’abitudine e nella insensibilità, le classi subalterne europee e le popolazioni colonizzate avevano subito come diniego d’esistenza e di storia, come alienazione reificazione annichilimento. (…) Molti portavoce della cosidetta ‘cultura’ d’Occidente cercavano interpretazioni extra storiche e metapolitiche e rapidamente giungevano a situare le stragi naziste nell’ordine del ‘sacro’, a considerarle opera del Male In Sé, in sostanza ad accettare, rovesciandone i contenuti, uno dei miti centrali della mistica nazista: la purezza e purificazione attraverso l’olocausto. È stata questa, nell’ordine internazionale una operazione analoga a quella compiuta per interpretare il fascismo. Nell’un caso come nell’altro la posizione sovietica – e comunista – nella misura in cui tendeva alla coesistenza, ossia al democratismo Onu, tendeva anche a perpetuare – d’accordo con i portavoce ideologici occidentali – la versione patetico-propagandista dell’Orrore e della Bestialità. Naturalmente l’interpretazione classista è stata portata innanzi e in forme ormai canoniche; tuttavia il limite moralistico, con il suo ottimismo di fondo, ha continuato fino a ieri a favorire una ‘fissazione’ del Nazismo in forme mitologiche di cui hanno beneficiato, in sostanza, le forme atipiche di esso, ossia quelle altrettanto feroci, dell’Imperialismo moderno. Per dissolvere quella fissazione e far ritrovare alla strage nazista il suo carattere di sanguinosa ‘normalità’, è stato necessario che entrassero nella lotta i paesi nei quali il colonialismo europeo aveva installati ben più vasti Lager di quelli nazisti e ben più numerosi milioni di vite umane aveva distrutto di quante ne avessero dissolte le SS.
Lettura ostinatamente marxista. Essa non ha perduto niente della sua verità, che lungi dall’indebolire, accresce, concretizza il nostro sentimento di vergogna davanti allo sterminio degli ebrei. Fortini riprende e amplifica il discorso tenuto da Brecht, suo maestro di straniamento, nel 1935 a Parigi in occasione del Congresso internazionale contro il Fascismo. Questa verità contro la Storia, trans-storica e non religiosamente extra-storica esiste, assoluta, nella sua relatività, perché mette in rapporto contingente il nazi-fascismo col capitalismo, e direttamente : sono le sue mannaie della concorrenza e del possesso, fatte proprie dalla piccola e grande borghesia tedesca e italiana degli anni Venti ad averlo generato, e la sua aberrazione non ne è che l’esito demente. La fissazione mitologica del Nazismo, ieri come oggi, deriva da questo diniego. Preso atto della retorica degli (ex) Stati comunisti, non c’è neppure più coesistenza ma un solo sistema Financial Compact di fronte al quale l’interpretazione canonica di classe non può far altro che teorizzare il passato. Ma allora, perfino la fede terzomondista di Fortini non è detto che sia scaduta, nonostante le sconfitte. Essa ci forza a cogliere i germi di nuove forme di lotta non gerarchizzate, lotte di esodo dai poteri stabiliti, che gli Stati non potranno continuare a reprimere sempre.