Un’ovazione dei mille delegati a Karlsruhe per Mutti. La trionfale approvazione della mozione sui migranti (due contrari e qualche astenuto). E l’orgoglio della Grande Germania capace di farcela sempre nel solco della volontà di potenza. Angela Merkel rafforza la leadership nella Cdu e traccia il futuro di Berlino vero cuore d’Europa: «Adenauer non ha detto “Scegliamo un po’ di libertà”, ma “Scegliamo la libertà”. Erhard non ha detto “Benessere per quasi tutti’”, ha detto “Benessere per tutti”. Kohl non ha detto “Paesaggi fioriti per un paio di Laender dell’Est”, ma per tutte le regioni dell’ex Ddr» afferma nel discorso dell’incoronazione come legittima erede dei padri fondatori della Germania.
Tutti in piedi preventivamente. Con nove minuti di applausi. I delegati ascoltano per poco più di un’ora, mentre Merkel si cimenta con un «anno incredibile» dall’attacco a Charlie Hebdo ai negoziati di Minsk e con il governo greco (ringraziamento esplicito al ministro Schäuble), fino all’emergenza migranti e alla strage di Parigi.
Sull’esodo biblico ha definito un perimetro insindacabile. La Cdu di Merkel combacia con il valore cristiano: «Affinchè ogni uomo abbia la dignità data da dio». Ma l’Europa è chiamata a una prova epocale e Angela è più che convinta: «Wir schaffen das, ce la possiamo fare». Come? Riducendo il numero dei rifugiati, contando sul ruolo-chiave della Turchia e soprattutto con un atteggiamento unico dell’Ue (hotspot in Italia compresi).
I razzisti senza un Le Pen
Al congresso Cdu lo scetticismo della vigilia cede il passo al pragmatismo di governo: «Chi cerca rifugio presso di noi, deve rispettare le nostre leggi e le tradizioni e deve imparare il tedesco». Il multiculturalismo, per Angela, è una «bugia vivente». D’altro canto, in Germania la destra razzista e populista «non ha nessuna possibilità» al contrario del Fn delle Le Pen o della Lega di Salvini.
Fa da contraltare il discorso-fiume di Horts Seehofer, leader dei cristiano-democratici bavaresi, che esordisce con un “Ciao” ai delegati tutt’altro che entusiasti del raddoppio dei 30 minuti previsti. «Dobbiamo concentrarci su come veramente conseguire la limitazione o il rimpatrio dei migranti. E nessun paese al mondo è in grado di assorbire una quantità illimitata di rifugiati» scandisce, salvo concludere con l’elogio della cancelliera «molto apprezzata in Germania e anche nello stato libero di Baviera». Alla fine, Angela lascia Karlsruhe senza rivali e ancor più autorevole di come ci era entrata. La stampa tedesca certifica: Il boss è tornato secondo l’edizione web della Sueddeutsche Zeitung; La Cdu non ha alternative a Merkel fa eco la conservatrice Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Del resto Angela Dorothea – la figlia del pastore luterano svezzata fra la campagna del Brandeburgo, la studentessa di fisica a Lipsia che parlava russo, la portavoce dell’ultimo premier Ddr Lothar de Maizière – è l’«uomo dell’anno» per Time e Financial Times. Con il cognome del primo marito governa la Germania dal 22 novembre 2005, metabolizzando la “sussidiarietà Spd” di Gerhard Schröder e Martin Schulz fino ad azzerare ogni alternativa. La Bundeskanzlerin è davvero all’acme di una carriera cominciata con il “parricidio” di Helmut Kohl: regina della Cdu, ha aggiornato la politica centrista e ora conta di “esportarla” anche a Bruxelles.
Ma se in casa è riuscita a piegare l’asse Monaco-Francoforte fino a dilagare a Est, in Europa fa molta più fatica con il pugno d’acciaio nel guanto di velluto. Merkel in Germania non teme la destra estrema e ha messo all’angolo la nostalgia “rossoverde”. Magari fa piangere in diretta tv la bambina palestinese, occulta la catastrofe Deutsche Bank (perdite per oltre 6 miliardi in un trimestre) e deve ingoiare il rospo del “caso Volkswagen”. Tuttavia, Angela è già andata oltre il suo stesso decennio al potere: «Siamo in grado di creare un’identità più grande per la Germania». E il vero obbiettivo sarà l’Europa stretta dalla morsa del terrorismo e dell’immigrazione, in crisi di leadership anche militare e con un’economia da mantenere sotto vigilanza.
La cancelliera ieri a Strasburgo è tronata da affilare le armi con il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. La sfida è, come sempre, sul controllo dei conti pubblici dei 28 paesi membri. Junker (nominato proprio grazie alla Germania, una volta fallita nelle urne la candidatura Schulz) si è appellato all’Europarlamento. Merkel ha replicato mettendo nel mirino la Francia (che ha prorogato di un anno il taglio del deficit) e l’Italia di Renzi che beneficia della “flessibilità” su ben 15 miliardi di poste nella legge di stabilità. Le prossime settimane potrebbero alimentare il braccio di ferro, che nasce soprattutto dal ruolo della Bce di Draghi tutt’altro che compensato da misure fiscali e di bilancio “alla tedesca”.