Il confine tra arte e pop, tra le partiture di Berio e le canzonette sanremesi, per la Rossa non esistevano. Passava con quieta nonchalance nello stesso anno (1985) da un disco pop dal retrogusto camp – Marinero griffato Raf – a uno storico live ’tanguero’ con il quartetto di Astor Piazzolla. Milva diva per sempre – oggi in prima serata su Rai3 – il documentario diretto da Angelo Longoni a tre anni dalla scomparsa della pantera di Goro, prova a raccontare la complessità di una delle artiste – e delle voci – più importanti uscite dall’Italia del dopoguerra.

EMERGE un ritratto emotivo, introspettivo a cui contribuiscono le tante voci intervistate, dalla figlia Martina Corgnati – che ha collaborato alla sceneggiatura e ha soprattutto pubblicato lo scorso anno una densa biografia della madre Milva, l’ultima diva per i tipi della Nave di Teseo -, Massimo Gallerani, Vicky Schatzinger, Cristano Malgioglio, Pino Strabioli. Ognuno ha una propria Milva da raccontare: il lavoro maniacale sulle partiture, l’impegno continuo e i tour infiniti che la portano nei cinquant’anni di carriera in ogni angolo del mondo, sui palcoscenici e in tv, alternando il teatro leggero e persino una timida frequentazione del grande schermo. Una carriera che trova la sua sublimazione nel 1982 quando approda alla Scala dove porta La vera storia, un’opera in due atti di Luciano Berio su libretto di Italo Calvino. Poi c’è Milva che si confida a Minà in un incontro con Strehler – un rapporto simbiotico in cui lei – massima interprete brechtiana – sarà sempre l’allieva («il mio maestro») e per il regista triestino eterna «Milvina»: «non mi ha mai chiamato Milva», sottolinea sorridendo ma non troppo…

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MA A DEFINIRE incontri e carriera sono soprattutto le immagini di repertorio relative alle sue esibizioni dal vivo, dai tanti Sanremo affrontati nel tempo – quindici ma senza mai vincere – alle collaborazioni con Vangelis, Piazzolla, Jannacci che le cuce addosso nel 1980 il disco-manifesto La Rossa, passando per gli scontri e abbracci con una capricciosa Alda Merini ai tre dischi magistrali con Franco Battiato, non a caso il suo ultimo album da studio (Non conosco nessun Patrizio, 2011) lo incide proprio con l’artista siciliano. Alternando qualche frammento di fiction (la parte meno riuscita del documentario) per ricostruire l’infanzia dell’artista e il rapporto con il padre – Longoni traccia l’immagine di un’artista potente quanto fragile: «Raccontando Milva – spiega – si comprende l’evoluzione culturale dell’Italia che, come lei, ha percorso gli anni Cinquanta fino al nuovo millennio crescendo anche internazionalmente. Grazie a Milva l’arte popolare si fonde con la cultura ai più alti livelli. Ciò che colpisce di questa donna è la capacità di nutrirsi di ogni sfida privilegiando sempre il rapporto ’dal vivo’ con il suo pubblico. Una vita caratterizzata da vitalità, curiosità e contraddizioni. Lei stessa ha parlato delle fasi più importanti della propria esistenza senza nascondere slanci, emozioni, rimpianti e analisi. È proprio questa complessità che rende interessante e movimentato il suo percorso umano».