Tutti i nodi erano arrivati al pettine in un colpo solo: da Mps alla riforma delle banche popolari in spa, semibloccata dal Consiglio di Stato; dalle due banche venete controllate per cause di forza maggiore dal fondo Atlante, ai vantaggi fiscali chiesti dagli istituti (Unicredit, Intesa, Ubi) che hanno finanziato (1,6 miliardi) il Fondo di risoluzione per coprire le perdite di Etruria &c., e permettere così la cessione delle quattro new bank – con la stessa Ubi alla finestra – entro la fine dell’anno. Alla fine il non-governo Renzi sul settore del credito ha lasciato il passo all’atteso decreto legge omnibus sull’intero comparto. Una notizia sostanzialmente confermata da Palazzo Chigi dopo una giornata folle, punteggiata di condizionali sulla assai presunta decisione del Consiglio di vigilanza della Bce di non permettere al Monte dei Paschi di sforare di venti miseri giorni, dal primo al 20 gennaio, il termine posto dalla Bce per completare la pur problematica ricapitalizzazione da 4 miliardi.

Va da sé che per firmare il decreto legge dovrà esserci un Consiglio dei ministri. Non nelle prossime 24 ore, garantiscono dal palazzo del governo (dimissionario). Ma presto, magari prima della riapertura delle borse di lunedì. Guarda caso, dal fronte della crisi si parla subito di accelerazione, con il fedelissimo renziano Paolo Gentiloni che sale nel toto premier fino alla pole position, insieme naturalmente a Pier Carlo Padoan. Tutto si tiene.

La corrida bancaria si era aperta a metà giornata quando, con Piazza Affari tranquilla dopo gli exploit dei giorni scorsi, è arrivata come fulmine a ciel sereno l’indiscrezione pilotata che la Vigilanza Bce, peraltro non ancora riunita, aveva respinto la richiesta del Monte dei Paschi di Siena di avere una proroga dal primo al 20 gennaio 2017 per completare l’aumento di capitale. Ufficialmente la banca aveva chiesto venti giorni in più dopo che Matteo Renzi, sconfitto sonoramente al referendum, aveva annunciato le dimissioni aprendo la crisi di governo.

Per certo in borsa da quel momento i titoli di tutto il settore bancario sono precipitati. Alla chiusura Mps ha segnato -10,55%, ma giù anche Bpm (-4,32%), Banco Popolare (-3,93%), Banca Mediolanum (-3,48%), Mediobanca (-2,82%), Ubi Banca (-2,37%), Unicredit (-2,34%) e Intesa San Paolo (-1,67). Un autentico tsunami.

In parallelo, i lavoratori del comparto alzavano giustamente la voce. «Se dovesse essere confermata la decisione della Bce di non concedere a Mps la proroga per l’aumento di capitale – avvertiva Lando Sileoni della Fabi – saremmo davanti a una presa di posizione irresponsabile, folle, arrogante, ai limiti della provocazione. Sono in ballo i destini di 26mila dipendenti e delle loro famiglie, e di oltre 5 milioni di clienti». Sulla stessa linea la Fisac Cgil con Agostino Megale e il coordinatore sindacale Mps, Antonio Damiani: «Se la Bce, come sembra in queste ore, non dovesse concedere proroghe sul piano di ricapitalizzazione di Monte Paschi di Siena, commetterebbe un grave errore. Ciò è inaccettabile».

Alla resa dei conti, Mps doveva finire a far la solita parte della pecora nera, come detonatore necessario a velocizzare sia l’iter del decreto legge omnibus sull’intero settore, sia la risoluzione della crisi di governo con l’accoppiata renziana Gentiloni-Padoan e la benedizione dello stesso ex (?) presidente del consiglio.

Invece a tarda sera, dopo essersi riunito, il cda Mps ha fatto testualmente sapere: «Il consiglio di amministrazione comunica di non aver ricevuto alcuna comunicazione da parte della Banca centrale europea, a seguito della richiesta di proroga dei termini di effettuazione dell’operazione precedentemente comunicata al mercato inoltrata in data 7 dicembre 2016». Nella nota si puntualizza che la banca «prosegue pertanto tutte le attività propedeutiche al completamento della predetta operazione».

Il cda di Rocca Salimbeni è stato aggiornato a domenica pomeriggio. Così tutto resta in bilico, dal decreto omnibus sulle banche alla stessa risoluzione della crisi di governo.