I sommozzatori ne hanno recuperati 169 in poco più di un anno. Corpi di migranti martoriati e sfregiati dal mare e dai pesci, la gran parte irriconoscibili. Dentro allo scafo, rimasto tutto questo tempo a oltre 370 metri di profondità, ci sarebbero ancora 700 cadaveri di uomini, donne e bambini. Un viaggio nell’inferno per gli esperti che avranno il compito di estrarre quel che resta dei cadaveri dal relitto del peschereccio recuperato dalla nave Ievoli Ivory, rimasto negli abissi 14 mesi in un tratto di mare a 40 miglia dalla Libia e a 100 miglia dalla Sicilia. La più grande sciagura nel Mediterraneo di tutti i tempi fu definita quella del 18 aprile di un anno fa, che sembrò scuotere le coscienze dell’Unione europea prima che arrivassero il filo spinato e i muri. Di quella disumana tragedia solo 28 furono i sopravvissuti, compresi il presunto ‘capitano’ e il ‘mozzo’ del peschereccio, entrambi sotto processo davanti al gup di Catania.

Ad Augusta, approdo finale del peschereccio, il ministero della Difesa, attraverso Marisicilia, ha fatto realizzare una ‘cittadella’ con 150 persone all’opera. I corpi saranno esaminati da esperti coordinati dal dipartimento di medicina legale dell’università di Milano, allo scopo di acquisire informazioni utili a creare un network a livello europeo che permetta di risalire all’identità dei migranti attraverso l’ incrocio dei dati.

Era sabato sera quando la centrale operativa di Roma della Guardia Costiera, raccolta la segnalazione di un peschereccio in difficoltà carico di migranti, ordinò al mercantile portoghese King Jacob, in navigazione nell’area, di cambiare rotta e raggiungere il barcone per prestare soccorso. L’imbarcazione però si capovolse. Abdullah Ambrousi Angeles, comandante filippino del King Jacob, disse che il peschereccio si era inabissato perché i migranti si erano spostati su un lato. Qualche giorno dopo, una portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, dopo avere parlato con alcuni dei sopravvissuti, ipotizzò una dinamica differente: il barcone si sarebbe ribaltato a causa di un’onda provocata dal mercantile portoghese in avvicinamento a forte velocità. Le indagini tecniche condotte dalla procura di Catania hanno portato ad una diversa conclusione: il naufragio «fu determinato da una serie di concause, tra cui il sovraffollamento dell’imbarcazione e le errate manovre compiute dal ‘comandante’, che portarono il peschereccio a collidere col mercantile King Jacob». Nel processo sono imputati il presunto ‘capitano’ del barcone, il tunisino Mohamed Alì Malek di 27 anni, e ‘mozzo’ siriano Mahmud Bikhit, 25 anni. I due presunti scafisti sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma al ‘capitano’ sono contestati anche l’omicidio colposo plurimo e il naufragio. Il pm ha chiesto la condanna del ‘capitano’ a 18 anni di reclusione e del ‘mozzo’ a sei anni.