A quasi due settimane dall’affondamento, per la nave Rubymar non si vedono soluzioni all’orizzonte. Di proprietà britannica e bandiera del Belize, è stata affondata il 2 marzo scorso nei pressi dello stretto di Bab el-Mandeb, che collega il mar Rosso al golfo di Aden, dai missili dei ribelli Houthi che dall’inizio dell’offensiva israeliana su Gaza colpiscono alcune delle navi in transito lungo quel tratto di mare.

Nei giorni scorsi le autorità yemenite hanno chiesto assistenza alla Commissione europea. Questa ha attivato il meccanismo di protezione civile dell’Unione e messo a disposizione dell’Onu, che attraverso i programmi per ambiente e affari umanitari Unep/Ocha ha il coordinamento generale del caso, esperti e competenze. Lo riferisce al manifesto l’Agenzia europea per la sicurezza marina (Emsa) che ha avuto l’incarico di modellizzare da remoto possibili fuoriuscite di petrolio e comportamento chimico del carico, a sostegno del lavoro del team Onu sul posto.

Il quadro sembrerebbe meno allarmante del previsto. Almeno per ora. L’Emsa fa sapere che la nave si trova 60 metri sotto la superficie del mare, adagiata sulla poppa. L’olio combustibile è conservato nei serbatoi e secondo le prime indagini, basate su caratteristiche del carburante e temperatura dell’acqua circostante, non incombono perdite.

L’altra minaccia ambientale è rappresentata dal carico: fertilizzante. Tra 21mila e 41mila tonnellate secondo il comando centrale statunitense. L’agenzia Ue riferisce che si tratta di un prodotto solido immagazzinato nelle stive, che non sono state danneggiate. Con le infiltrazioni d’acqua diventerà «lentamente» liquido e si mescolerà al mare. Nella zona del naufragio sono presenti due diverse correnti: quella sul fondale marino, dove si trova lo scafo, muove verso il golfo di Aden. Per questo, scrive l’Emsa, «sembra improbabile che si verifichi un rilascio improvviso di grosse quantità di fertilizzante, creando poi una grande fioritura di alghe nel mar Rosso».

I rischi, almeno da questo punto di vista, potrebbero essere meno gravi del previsto. L’agenzia sottolinea che i fertilizzanti sono in gran parte trasportati via mare e perciò la comunità che si occupa di prevenzione dell’inquinamento marino ha esperienza a gestire incidenti di questo tipo. E che in casi analoghi di sversamento, come quello della Vera Su nelle acque bulgare nel 2021 o della Gulcer Ana sulle coste del Madagascar nel 2009, i danni ambientali sono stati contenuti.

Il dato più preoccupante, comunque, resta l’assenza di piani di recupero della nave. L’Emsa fa sapere che può agire solo su richiesta di Commissione o Stati membri. «Data la situazione attuale – sottolinea – andrebbe garantita la sicurezza di qualsiasi squadra di recupero». Per un’operazione completa servirebbero dei mesi, la nave andrebbe alleggerita da carburante e carico e il relitto rimesso a galla o smontato sul loco. Generalmente queste operazioni sono realizzate da compagnie private specializzate e sono a carico dell’armatore, ma nella situazione del mar Rosso c’è poco di abituale.