L’anno è iniziato solo da quattro giorni ma ci sono già pessime notizie per i migranti.

La notte di capodanno ben 1.100 persone hanno tentato di saltare il muro spinato che separa l’enclave di Ceuta, territorio spagnolo, dal Marocco.

Nella confusione delle informazioni ufficiali, che sottolineano le ferite della polizia marocchina e spagnola «aggredite» dai migranti, il governo di Madrid evita di specificare che ancora una volta ha applicato la cosiddetta «restituzione a caldo». Si tratta di una pratica che il governo del Pp ha legalizzato ma che la maggior parte degli osservatori considera contraria alle convenzioni internazionali e che consiste nel restituire al Marocco tutti coloro i quali riescono a superare i due muri di sei metri che separano i due paesi, senza verificarne il loro possibile status di rifugiati. Nei primi tre giorni di gennaio più di 200 persone hanno raggiunto su gommoni le coste andaluse e canarie, in molti casi salvati dalle guardie costiere.

A queste vanno aggiunte le 250 persone già riscattate nel mare Mediterraneo in questi giorni, di cui 119 ad opera della ONG catalana Proactiva Open Arms. Iniziò la sua opera nei giorni della crisi di Lesbo, con un gruppo di bagnini che decisero di usare le loro conoscenze nel mar Egeo, e si è presto trasformata in simbolo. In un recente documentario si raccontava come la barca che utilizzano ora, Golfo Azzurro, gli fosse stata regalata da un imprenditore italiano.

Non basta. Sono di lunedì le immagini choccanti degli ennesimi «subsahariani» (in questo caso, un uomo e una donna guineani) nascosti nel cruscotto di un’auto rubata. Che si aggiungono alle immagini che periodicamente vengono riportate dai giornali di persone nascoste in valigie, dietro i parafanghi, sotto i camion: un rosario penoso di escamotage della disperazione.

Di questa settimana anche la notizia che il pubblico ministero ha chiesto una pena di sette anni per la giovane marocchina che aveva trasportato, pare con il consenso dei genitori, il piccolo Abou, 8 anni, del Gabón, chiuso dentro una valigia scoperta per caso dalle guardie di confine di Ceuta, insospettite dal suo nervosismo.

Sette anni sono moltissimi. Basti pensare che dei più di 20mila processi contro la violenza machista, meno della metà si concludono in condanne, quasi tutte per pene inferiori ai due anni (quindi, con la condizionale, senza carcere); in alcuni casi, per lesioni gravi, si arriva al massimo a tre.

Il nuovo ministro degli interni Juan Ignacio Zoido, che sostituisce il polemicissimo Jorge Fernández Díaz, dalla mano durissima e che non esitava a utilizzare metodi illegali per spiare i concorrenti politici, ha sul tavolo l’impegno ampiamente disatteso dal governo di ospitare 17mila rifugiati provenienti da Italia e Grecia. Finora la Spagna ne ha accolti, con difficoltà, poco più di 800.

E questo nonostante comunità autonome come la Catalogna e comuni come Madrid e Barcellona abbiano messo a disposizione mezzi e logistica per farlo. Sono gli stessi comuni scesi sul piede di guerra contro il ministero degli interni per la chiusura dei Cie: in particolare Barcellona ha cercato di chiudere definitivamente il Cie nella Zona Franca con una serie di atti amministrativi (per esempio, non concedendo l’agibilità dei locali) che però il governo ha bellamente ignorato.

A Barcellona e in altre città si susseguono proteste (dei cittadini) e scioperi della fame (dei reclusi) ma i Cie, per ora, restano.