Quasi a suggerire la “giusta via” al premier italiano Matteo Renzi, ieri l’Ocse ha chiesto la definitiva messa in soffitta della reintegra obbligatoria prevista dall’articolo 18. Lo ha fatto nel suo rapporto annuale sull’occupazione, l’Employment Outlook 2014, ma nel contempo – e in un modo piuttosto imprevisto – ha bocciato la riforma dei contratti a termine varata dal ministro Giuliano Poletti.

«È importante che il Jobs Act sia approvato e reso operativo rapidamente, in modo da ridurre i costi di licenziamento e, in particolare, ridurre l’incertezza sull’esito dei licenziamenti economici», afferma l’organizzazione internazionale.

«A seguito della “riforma Fornero” del 2012 – dice ancora l’Ocse – il mercato del lavoro italiano ha parzialmente ridotto la sua eccessiva dipendenza dai contratti atipici. Ma le imprese tendono ancora ad assumere lavoratori giovani e inesperti solo attraverso contratti a tempo determinato. La quota di nuovi assunti con tale contratto è pari al 70%, una delle più elevate tra i paesi Ocse».

Insomma, troppo precariato. Ecco dunque la bocciatura del «Poletti»: pur rispondendo al bisogno di aumentare rapidamente l’occupazione, sottolinea l’Ocse, «la recente liberalizzazione dei contratti a tempo determinato potrebbe condurre ad accrescere nuovamente il dualismo del mercato del lavoro». In pratica, obbligando a una continua ripetizione dei contratti a termine, intrappolando tra proroghe e rinnovi il lavoratore, la legge Poletti aumenterebbe la divisione tra “garantiti” e “non
garantiti”.

Questo vuol dire che si devono conservare le attuali tutele? Non è così, secondo l’Ocse. Serve al contrario una maggiore flessibilizzazione del contratto a tempo indeterminato, in modo da renderlo secondo l’organizzazione meno oneroso per le imprese, incrementandone dunque l’utilizzo. L’opzione sul tavolo, rileva l’Ocse, «consiste nella sostituzione (salvo nel caso di discriminazione) del diritto di reinserimento con un’indennità crescente con l’anzianità di servizio» (è la “versione Ichino” del contratto a tutele crescenti, ndr).

«Tuttavia – riprende l’Ocse – tali nuove norme dovrebbero essere
applicate allo stesso modo per l’interruzione di contratti permanenti e temporanei (anche se giunti a scadenza) come accade in Irlanda e nel Regno Unito. Infine, maggiore sforzo deve esser fatto per avanzare verso una Aspi universale, come indicato nelle riforma del 2012 e rinforzato nel progetto di Jobs Act».

Fin qui le ricette, ma l’Ocse ha diffuso ovviamente anche dati e
previsioni. La disoccupazione in Italia continuerà a crescere nel 2014, arrivando a quota 12,9% sull’insieme dell’anno, contro il 12,6% del 2013. Solo nel 2015 scenderà, al 12,2%.

La percentuale di senza lavoro nel nostro Paese è quasi raddoppiata rispetto agli anni pre-crisi: nel 2007, il tasso di disoccupazione armonizzato era al 6,1%, nel 2008 al 6,8%.

Stessa dinamica per i giovani: la disoccupazione degli under 25 italiani nel 2013 ha toccato quota 40%, quasi il doppio del livello pre-crisi (20,3% nel 2007). La percentuale è più elevata tra le donne (41,4%) che tra gli uomini (39%).

Ancora, il 52,5% degli under 25 italiani ha un contratto precario (dati del 2013): cifra in calo rispetto al 2012 (52,9%), ma molto superiore agli anni pre-crisi (42,3% nel 2007). Nel 2000 era la metà: al 26,2%.

Il tasso di disoccupazione nell’area Ocse scenderà dal 7,7% del 2013 al 7,4% nel 2014. Nel 2015 si ridurrà al 7,1%. Per l’area euro, dopo l’11,8% del 2013, scenderà all’11,7% nel 2014 e all’11,2% nel 2015.