«Odio nero» proprio come in Italia con la differenza che qui, al solito, è tutto fin troppo organizzato. Dagli incendi preventivi dei centri per i rifugiati, ai presídi xenofobi nelle periferie non più solo ex Ddr, fino alla sezione della polizia sveva fedele ma al Ku-Klux-Klan che ancora non si riesce a mettere fuori servizio. Come se non bastasse ora dalla rete spunta anche la Google map dei campi profughi, postata dai neonazisti a beneficio del loro network.
Nei Kriminalamt non solo a livello di Land gli attacchi razzisti (150 nel 2014) sono in cima alle priorità investigative, mentre a livello federale ogni singolo caso viene accuratamente monitorato dall’Ufficio per la protezione della Costituzione (BfV) cioé il controspionaggio. Ma la situazione non è sotto controllo. Anzi.
Terra bruciata
Il 18 luglio a Remchingen nel distretto di Karlsruhe va a fuoco un edificio pubblico destinato ai rifugiati africani. Il rogo non è un fatto isolato ma segue otto episodi coincidenti oltre la cronologia. Due giorni prima, con modalità analoghe, in Baviera brucia un centro profughi con 67 posti letto mentre la settimana precedente dalle parti di Lipsia qualcuno spara alle vetrate di una struttura già abitata.
Casi «dolosi» inquietanti, e materiale d’indagine da aggiungere ai fascicoli sulle intimidazioni (mafiose, con teste di porco appese all’ingresso del rifugio) in Assia il 1 luglio e su altri due «Asylheim» incendiati il 28 e 29 giugno in Sassonia e Schleswig-Holstein.
Cronaca nera a tutti gli effetti, come la scoperta (della Berliner Zeitung) della mappa della Germania con l’indicazione di tutte le strutture che ospitano i richiedenti asilo.
L’ha caricata su di Google il 15 luglio il «partito nazista» ed è stata subito rimossa dal gestore, ma il lasso di tempo è stato più che sufficiente a chi la doveva vedere, e forse a suggerire a certi utenti un uso meno virtuale. Una marmellata di segnalini rossi sulla carta geografica della Bundesrepublik, volàno della campagnia razzista «Nessun rifugiato nelle mie vicinanze» che indica, soprattutto, come il livello di guardia sia stato abbondantemente oltrepassato.
Nimby
Dentro al recinto della legalità eppure egualmente sintomatiche le decine di manifestazioni contro i Containerdorf che hanno investito anche la capitale. Proteste xenofobe sempre più scientifiche e meno spontanee, a Berlino non più confinate alla perifieria “sovietica” di Marzahn o al quartiere «Salvador Allende» di Köpenick.
Il 10 luglio in occasione del «Giorno delle porte aperte» nel centro-profughi tra i prefabbricati di Marzahn si leva la protesta di 80 militanti di destra contro la “posa” dei container. Vengono subito arginati dalla contromanifestazione di Linke e Piraten con il quadruplo di antirazzisti, ma il «malessere», non più intimo e interiore, non si spegne.
La soglia della fobia è visibile soprattutto a Freital, nell’hinterland di Dresda, dove a giugno va in scena un vero e proprio assedio all’hotel Leonardo destinato a ospitare (provvisoriamente) 280 profughi. Oltre 150 persone protestano animatamente contro la struttura e il diritto di asilo, mentre tra la folla più di qualcuno riconosce Lutz Bachmann, fondatore di Pegida e imitatore del Führer anche sul social-network.
Una “base” da radiografare fino in fondo, visto che il cosmo non più così micro e il «Volk» è connesso con realtà più pericolosamente organizzate. Basta leggere le 58 pagine del rapporto sugli Hooligans against salafists (Hogesa) «analisi esplorativa» datata 2015 recentemente pubblicata dall’Ufficio criminale federale a Wiesbaden. La relazione del Bka ricostruisce e prova i contatti tra gli ultras di destra e i «cittadini» che da dicembre 2014 si riuniscono sotto le bandiere di Pegida, ong islamofoba fondata a Dresda proprio sull’onda degli «incidenti» tra tifosi della Germania e ultras dell’Islam.
Klandestini
Il 4 maggio 2013 a Schwäbisch Hall nel Baden-Württemberg viene scoperta una cellula di agenti legata a doppio filo con gli incappucciati americani. La notizia deflagra: perché si tratta del Ku Klux Klan, perché sono coinvolti membri delle istituzioni, e perché l’«ambiente» è esattamente lo stesso che si occupa delle indagini sugli omicidi dei terroristi dell’Nsu, underground nazista attualmente sotto processo a Monaco.
«Una piccola sezione con meno di dieci componenti» minimizza Dieter Schneider, presidente del Landeskriminalamt svevo. Un gruppo non così isolato, tanto che l’anno precedente erano venuti a galla altri due pubblici ufficiali iscritti al Kkk da almeno un decennio. Non basta: nel procedimento contro la «pasionaria» dell’Nsu Beate Zschäpe si indaga anche l’inquietante ruolo dei servizi tedeschi dopo la scoperta che l’ex agente del BfV Andreas Temme il 6 aprile 2006 (proprio nell’ora del delitto) sedeva al tavolino dello stesso internet-café di Kassel dove viene ucciso Halit Yozgat, nona delle 10 vittime dei «delitti del kebab».
La spia giustifica la coincidenza con la necessità di “flirtare” in chat al riparo dagli occhi della moglie, mentre a casa sua la polizia ritrova un revolver Smith&Wesson, pistole Beretta e Heckler&Koch insieme a 240 caricatori. Temme ha il porto d’armi e come «tiratore» è autorizzato a detenere anche le munizioni. Se non fosse che dai cassetti spunta un altro arsenale altrettanto micidiale: da riviste come «Il Terzo Reich» alla copia di «Mein Kampf» di Adolf Hitler che in Germania si può consultare solo per motivi di studio.
«Il sospetto è che i servizi dell’Assia conoscessero in anticipo le modalità dell’attentato», riassume Stern, mentre al vaglio degli investigatori restano «anomali» ritardi nella trasmissione agli uffici federali di informazioni vitali per le indagini sul terrosimo nazista.
Così, in attesa di esplorare tutti i link connessi alla rete neonazista in Germania si continua ad archiviare l’«Odio Nero» nelle, tutto sommato, più tranqullizzanti categorie tradizionali. Poco importa se, come ricorda la Taz, gli agenti del Klan sono ancora in servizio e rischiano al massimo una nota disciplinare.