Mohammed al Hissi e Nashua al Ramli sono disperati. Il Centro italiano per lo scambio culturale “Vittorio Arrigoni” di Gaza city prova ad aiutarli in ogni modo, sino ad oggi senza successo. «Entrambi sono attesi da due università italiane – spiega Meri Calvelli, la responsabile del centro – hanno i documenti pronti e sono in possesso dei visti per l’Italia. Purtroppo le autorità giordane continuano, inspiegabilmente, a non permettere l’ingresso a questi due giovani che si vedono senza ragione negare il diritto allo studio». Nashua, 35 anni, è un archeologa, è già stata in Italia e collabora con l’Unesco a Gaza. Nel quadro del programma Erasmus vuole continuare la sua formazione, grazie anche all’aiuto dell’Università di Torino. La Giordania per ben tre volte ha respinto la sua richiesta di transito. Mohammed sul suo passaporto palestinese ha già un visto d’ingresso in Italia valido dal 1 giugno 2016 al 31 dicembre 2018, periodo nel quale intende completare gli studi al “Centro internazionale di fisica teorica” di Trieste che porta il nome dello scienziato pakistano Abdus Salam, premio Nobel per la fisica nel 1979. Anche Mohammed ha i documenti in ordine, pronti da tempo. Come per Nashua, le autorità di Amman respingono la sua richiesta di visto e non può muoversi da Gaza. «Ci siamo rivolti all’ambasciata giordana a Roma e al rappresentante diplomatico giordano presso l’Autorità nazionale palestinese, senza alcun risultato. Peraltro i diplomatici giordani continuano a rimpallarsi la responsabilità di questa situazione», aggiunge Meri Calvelli.

Come Mohammed e Nashua tanti altri palestinesi, di tutte le età, non pochi dei quali ammalati gravi, fanno fatica ad ottenere il visto per entrare in Giordania, indispensabile per raggiungere l’aeroporto di Amman, l’unico dal quale, in questo momento, possono partire per un altro Paese. La rigidità giordana si aggiunge al blocco di Gaza e alle forti restrizioni imposte da Israele all’uscita dei suoi abitanti dal valico di Erez e alla chiusura, di fatto permanente, del valico di Rafah attuata dall’Egitto. Senza il visto d’ingresso giordano un palestinese di Gaza non può transitare per Erez, questa è la condizione fissata da Israele che consente ogni settimana ad appena 100 gazawi di entrare nel suo territorio e di andare ad Amman. Gli egiziani, da parte loro, si mostrano indifferenti alle esigenze e alle sofferenze dei palestinesi di Gaza, anche dei malati oncologici che hanno speranza di curarsi soltanto all’estero.

Gaza si conferma sempre di più la prigione a cielo aperto di cui tante volte si è scritto e detto mentre il mondo resta a guardare. A poco sono serviti sino ad oggi gli allarmi lanciati dai centri per i diritti umani. L’ultimo è giunto dalla ong americana Human Rights Watch che attraverso la sua rappresentante in Medio Oriente, Sarah Leah Whitson, ha chiesto qualche giorno fa ad Amman di revocare tutte le restrizioni che vietano l’ingresso dei palestinesi di Gaza. «Non molto tempo fa – ricorda Hrw nella sua lettera – le autorità giordane permettevano il passaggio dei palestinesi autorizzati da Israele a viaggiare…L’estate scorsa però la situazione sembra essere mutata…Singoli cittadini, avvocati e organizzazioni dei diritti umani riferiscono che le richieste (di visto) vengono scartate dalla Giordania o non ricevono alcun tipo di risposta». Amman nega che ci sia stato un cambiamento nei confronti «dei fratelli palestinesi, tra cui quelli di Gaza». Anzi secondo il portavoce del governo, Mohammed Momani, la Giordania continuerebbe ad aiutare i palestinesi «a tutti livelli» anche per la questione della libertà di movimento. I numeri di Hrw però non lasciano dubbi. Tra lo scorso agosto e il gennaio 2016, 58 palestinesi hanno contattato l’ong israeliana “Ghisha” – che aiuta gli abitanti della Striscia ad entrare in Israele – perché avevano visto respinte senza motivo le loro richieste di visto d’ingresso in Giordania.

Dietro le quinte la Giordania avrebbe deciso questa nuova politica per segnalare di non voler essere l’unico Paese aperto al transito dei palestinesi di Gaza mentre Israele, ossia il Paese occupante, e l’Egitto continuano a mantenere la loro linea di chiusura e di blocco della Striscia. Il conto in ogni caso lo pagano sempre e soltanto gli abitanti di Gaza, stretti in una morsa soffocante di ben tre Paesi.