Davanti ai Giardini ha attraccato la Freedom Boat, con i suoi reading per la Palestina, mentre per tutta Venezia sono appesi volantini rossi che disegnano la mappa dei rifugi anti-aerei: è l’incursione del padiglione Ucraina fra i canali, che racconta così il suo perenne stato d’allarme. Ma alla Giudecca, invece, c’è un silenzio assoluto. Il mondo esterno è bandito.

Installation view, Claire Tabouret foto di Mario Cremascoli

I PIEDI SPORCHI di Cristo, iconografia cristiana che incontra la quotidianità degli umili, coprono il muro scrostato della prigione (Maurizio Cattelan). È il primo impatto spaesante che si vive a ridosso della Casa di reclusione femminile della Giudecca. Non si è ancora entrati, ma il distacco è imminente: si lascia il fuori per il «dentro». Varcata la soglia, il secondo appuntamento è con le scritte incerte affisse alle pareti, alcune lavate dalla pioggia, che affidano a quei cartelli poetici i desideri e le angosce di chi ha perso la libertà e non può più coltivare i propri affetti. Nella caffetteria, brillano le parole di Corita Kent, suor Mary Corita, attivista per i diritti umani e artista pop, unica non vivente che, dice la detenuta che fa da guida, è ancora presente con le sue parole e a molte di loro dà la forza di andare avanti.
Uno sguardo sbarrato sotto la torre di controllo: il collettivo Claire Fontaine lo mette a guardia, negandolo, dei «contenuti sensibili». È soprattutto un’avvertenza interiore. La visita al padiglione della Santa Sede nel carcere della Giudecca – il luogo è un antico monastero che nel 1600 divenne un ospizio per prostitute redente – si svolge seguendo un rituale sospeso fra l’ordinarietà di gesti cercati ogni mattina al risveglio e una distorsione percettiva che obbliga il corpo in un percorso costrittivo. Con i miei occhi – perché all’interno si è soli con le proprie emozioni e ricordi – è il titolo del padiglione, curato da Chiara Parisi e Bruno Racine con la collaborazione di artisti internazionali (oltre a Claire Fontaine, che dà anche l’identità alla Biennale di Adriano Pedrosa con il «prestito» di Stranieri ovunque, ci sono Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, Claire Tabouret). Quegli occhi sono il dispositivo unico di registrazione di suoni e immagini. E della voce della detenuta che racconta le opere in prima persona, per quel che ha vissuto, provando a essere – come altre residenti che hanno partecipato al progetto – protagonista, per una volta non invisibile, essere umano che resiste ed esiste. Nonostante la colpa, l’errore che la inchioda alle finestre con le sbarre, tranne una che dà sul giardino-orto e le libera il respiro. Siamo con voi nella notte: si accende al tramonto la scritta nel cortile condiviso. L’ha voluta Claire Fontaine perché il buio fa paura, i pensieri si ingigantiscono, i fantasmi tornano prepotenti e la solitudine brucia finché non fa giorno.

Sonia Gomes, Sinfonia foto Marco Cremascoli

FRA LE INSTALLAZIONI, c’è quella (bellissima) di Claire Tabouret. A prima vista, è una quadreria vecchio stile, semplici pitture di bambini che giocano, madri che abbracciano, sorellanze in spiaggia. Sono invece i simulacri delle innocenze smarrite, figure intime e famigliari che riconducono le detenute alle loro infanzie, invitandole ancora una volta a sfogliare l’album del loro passato. Sembrano ex voto più che ritratti, si trovano accanto alla cappella, anch’essa abitata dall’arte: le sculture «sinfoniche» e ancestrali della brasiliana Sonia Gomes che scendono dal soffitto.
Seduti, in un silenzio mistico, si torna a «sentire» con i propri occhi. Il film di Marco Perego & Zoe Saldana, in bianco e nero, è girato fra le detenute. Parla forse di redenzione ma anche del tempo che inesorabile passa, in un confronto serrato con la morte e il senso della vita, quest’ultimo tutto da recuperare.
Papa Francesco è atteso per domenica 28, prima volta di un pontefice alla Biennale. Domani, sbarcano Nordio e Sangiuliano.