Il cianuro di Pierre Moscovici, commissario europeo all’Economia e controparte del governo italiano sul fronte della manovra aggiuntiva richiesta dall’Europa, è racchiuso in una caramella al miele. Dopo il colloquio con il ministro Padoan di giovedì a Davos, appena un quarto d’ora, il francese fa il punto. Ostenta ottimismo e abbonda in cortesie: «Il nostro dialogo è costruttivo, amichevole, sulla via di un buon accordo per ciascuno. Sentire Padoan è sempre un piacere». Ma nel merito non arretra di un millimetro: «L’Italia ha beneficiato di molta flessibilità, ma deve anche conformarsi alle regole comuni. La regola del debito va rispettata perché è il criterio determinante». Non c’è volontà di umiliare l’Italia, dunque. Però quei 3,4 miliardi il governo di Roma deve sborsarli.

Al ministero dell’Economia e delle finanze e a palazzo Chigi il tam tam resta lo stesso: «Nessuna manovra aggiuntiva. Non possiamo penalizzare la crescita che è la sola via per intervenire sul debito». Le critiche europee sono infondate. Le cupe previsioni del Fmi imprecise, e per sottolinearlo Bankitalia ha diffuso proprio ieri stime per il 2017 e per il 2018 ben più rosee: 0,9% invece che lo 0,7% ipotizzato dal Fondo per quest’anno, 0,11% invece dello 0,8% per il prossimo. Non sono parole vuote. L’intenzione di resistere ed evitare una nuova manovra c’è. Però quella formula va interpretata. Intanto Roma sottolinea l’emergenza terremoto: «L’Europa consente in circostanze eccezionali di avere un atteggiamento flessibile nel rapporto tra deficit e pil. Purtroppo è difficile da immaginare una circostanza più eccezionale», dice il premier Gentiloni all’uscita del consiglio dei ministri che stanzia i primi 30 milioni. «È chiaro che servirà ben altro», aggiunge.

Il premier batte il tasto dell’emergenza. Per il resto evitare la manovra vuol dire trovare i fondi richiesti riducendo al minimo le nuove misure, limitandosi cioè a sforbiciare alcune spese come quelle per i ministeri senza tagli o tasse, e intervenendo invece su quanto già previsto nella legge di bilancio. Nel mirino ci sono, tanto per cambiare, le pensioni: la riforma della legge Fornero, la cosiddetta “flessibilità” consistente nel permettere di andare in pensione in anticipo in cambio di una “restituzione” da parte dei pensionati stessi a tassi poco invitanti. Posporla di qualche mese permetterebbe di risparmiare 500 milioni e qualcos’altro potrebbe uscire fuori dall’eliminazione, o almeno da un rinvio sine die, degli aumenti delle quattordicesime. Una misura dolorosa, anche perché ci andrebbe di mezzo l’Ape social, la pensione anticipata senza restituzione che dovrebbe scattare da maggio. Ma sarebbe una misura insufficiente. Per questo è fondamentale che la Commissione europea la richiesta. La speranza dell’Italia, obiettivo della trattativa in corso, sarebbe dimezzarla. La congiuntura internazionale, però, non supporta l’Italia. Il discorso d’insediamento di Donald Trump, ieri, pareva scritto apposta per avvalorare i foschi timori di Christine Lagarde. In mattinata la direttrice del Fmi aveva chiuso il Forum di Davos paventando un micidiale «cigno nero» per l’economia mondiale nel 2017, qualora si verificassero tutti gli eventi che è lecito temere e aspettarsi sulla base di quello che è successo nel 2016. Uno dei principali tra questi eventi è proprio il protezionismo americano che Trump ha promesso ieri agli Usa. In questo contesto il principale falco di Berlino, il ministro Schaeuble, risponde chiedendo all’Europa di «diventare più competitiva», formula con la quale s’intende un’ulteriore stretta rigorista.

È la materia del contendere tra lo stesso Schaeuble, che vuole chiudere al più presto i rubinetti del Quantitative Easing e Mario Draghi, che due giorni fa ha invece annunciato la decisione di mantenerli aperti. La battaglia all’ultimo sangue che si sta combattendo riguarda l’intera Unione. Ma la linea del fronte passa da Roma.