Tutto come previsto e sempre a sfavore della Palestina. Gli Stati Uniti hanno posto il veto sulla risoluzione che chiedeva la piena adesione della Palestina come membro effettivo delle Nazioni Unite.

Nel Consiglio di sicurezza che si è svolto giovedì in seguito alla proposta della Lega Araba, 12 dei 15 Paesi partecipanti al voto hanno votato a favore della risoluzione, tra cui ben 3 dei membri permanenti: Francia, Cina e Russia. La Gran Bretagna, fedele al discorso cerchiobottista della rappresentante permanente all’Onu, si è astenuta perché i tempi per l’adesione della Palestina sono «prematuri», seppure la misura sia ritenuta «necessaria» in un futuro. L’unica altra astensione è stata quella della Svizzera.

A FAR CROLLARE definitivamente le speranze palestinesi è stata la mano alzata dello statunitense Robert Wood alla domanda «qualcuno dei membri permanenti del Consiglio intende porre il veto alla risoluzione?». Fine della storia, se ne riparlerà (ancora) in futuro.

Lo Stato di Palestina attualmente è un «osservatore non membro» dell’Onu e la risoluzione di giovedì proponeva di darle lo stesso status dei membri a pieno titolo. Ma la risoluzione avrebbe prima dovuto essere approvata dal Consiglio di Sicurezza con almeno 9 voti a favore sui 15 membri totali e nessun veto da parte dei membri permanenti. In seguito, nel voto alla plenaria, 2/3 dei 193 stati membri avrebbero dovuto votare a favore. Fallito il primo passaggio, l’iter si è bloccato.

Dopo aver posto il veto alla misura, Wood, che è il vice rappresentante di Washington al Palazzo di vetro, ha spiegato che secondo la Casa Bianca «non c’è altra via per ottenere uno Stato palestinese se non attraverso i negoziati tra israeliani e palestinesi. Siamo inoltre consapevoli da tempo che azioni premature qui a New York, anche con le migliori intenzioni, non consentiranno al popolo palestinese di ottenere lo status di Stato».

DIVERSI ANALISTI, tra cui Marwan Bishara di Al Jazeera, hanno tuttavia evidenziato come il veto statunitense dimostri che la politica di Washington nei confronti della Palestina non ammetta intromissioni. «La Palestina potrebbe essere un paese come lo vedono gli Stati Uniti, o come lo vede Israele, solo nel momento in cui sarà adatto agli Stati Uniti e all’interno della geopolitica e dell’interesse globale degli Stati Uniti», sostiene Bishara.

Nel suo discorso durante la fase preliminare della riunione, il rappresentante palestinese Ziad Abu Amr, aveva dichiarato: «Desideriamo ancora esercitare il nostro diritto all’autodeterminazione, a vivere in libertà, sicurezza e pace in uno stato indipendente simile ad altri paesi del mondo. Inoltre, e si tratta di un dato significativo perché è stato evocato anche dal rappresentante russo che del CdS è membro permanente, «a chi dice che il riconoscimento dello Stato palestinese deve avvenire attraverso negoziati e non attraverso una risoluzione dell’Onu, diciamo: “Come è stato costituito lo Stato di Israele? Non è stato attraverso una risoluzione delle Nazioni Unite, la Risoluzione 181?”».

DURA LA REAZIONE DELL’IRAN al veto degli Usa, aggravata senz’altro dall’attacco che nella notte ha scalfito le strutture militari di Teheran nei pressi di Isfahan. «Il veto degli Stati Uniti ha messo di nuovo a nudo la natura ipocrita della politica estera di Washington e l’isolamento delle posizioni statunitensi nella comunità internazionale».

L’Iran ha inoltre rilanciato su uno stato palestinese che si estenda «dal fiume al mare» e non nei confini del 1967 come ormai chiedono quasi tutti i soggetti politici palestinesi (Hamas compreso) e i loro alleati. Hamas ha condannato il veto e ha assicurato «al mondo e ai palestinesi» che «continuerà la sua lotta e resistenza finché non sconfiggerà l’occupazione e stabilirà il suo Stato palestinese indipendente e pienamente sovrano con Gerusalemme come capitale». Molto critici verso gli Usa anche il Qatar e l’Egitto, nonostante entrambi siano legati agli Usa da accordi militari e strategici.

INTANTO OGGI NEGLI USA si voterà di nuovo il pacchetto di aiuti militari straordinari a Israele e all’Ucraina, oltre che (in misura molto minore) a Taiwan e agli alleati nel Pacifico, proposto da Biden a fine 2023. L’escamotage trovato dai rappresentanti repubblicani alla Camera è stato quello di dividere la votazione in 4, una per ogni alleato, il che rischia di trasformare l’ostruzionismo dei trumpiani contro Kiev nella tomba definitiva delle speranze di nuove armi per Zelensky e i suoi.