Il destino di Palmira – la «città carovaniera» – è strettamente legato alle sorti della Siria. Il conflitto che dal 2011 attanaglia uno dei paesi più ricchi di beni culturali al mondo non ha risparmiato neppure le rovine che da millenni sfidano il cielo. Là dove un tempo il sole tramontava su maestose colonne tingendole di rosa, ora c’è solo l’ombra della guerra. Malgrado sia iscritta fin dal 1980 alla lista Unesco dei siti patrimonio dell’umanità e dal 2013 fra quelli in pericolo, Palmira non ha beneficiato di alcuna protezione da parte di governi e organizzazioni internazionali. Al contrario, la «Sposa del deserto» è divenuta la «schiava» di Bashar al-Assad e dell’altrettanto spietato Abu Bakr al-Baghdadi.
Pedina di una lucida strategia nei confronti dell’Occidente – complice à la carte dell’astuto dittatore e nemico «idolatra» del sedicente Stato Islamico – uno dei siti archeologici più splendenti e ammirati del Mediterraneo è stato ridotto a campo di battaglia, con caduti in carne e ossa, oltre che di pietra. Nel luglio del 2015, una ventina di soldati dell’esercito regolare siriano vengono giustiziati dall’Isis nel teatro romano. Alla macabra messa in scena segue, un mese più tardi, la truce esecuzione dell’archeologo Khaled al-As’aad, per mezzo secolo custode delle antichità di Palmira: la mano armata è ancora quella dei jihadisti che dal maggio dello stesso anno hanno issato fra le vestigia la bandiera nera del Califfato. Ma se i mass-media europei si sono precipitati ad assecondare l’ondata emotiva provocata da tale occupazione, non sempre il resoconto delle distruzioni – susseguitesi da agosto ad ottobre 2015 – ha rispecchiato la realtà, passata e presente.

A errori e menzogne vuole dunque rimediare Palmyre, Vérités et légendes (edizioni Perrin, 259 pp., euro 14), di Annie e Maurice Sartre. La forza dei due autori, studiosi della Siria d’epoca greco-romana, non risiede soltanto nel bagaglio di conoscenze acquisito durante quarant’anni di ricerche ma anche in una militanza politica priva di ambiguità. Sensibili al dramma dei civili siriani massacrati senza ritegno dalle bombe di Assad e Putin, Annie e Maurice Sartre non separano mai la difesa del patrimonio dalla lotta per la libertà di un popolo che hanno imparato ad amare. Anche per questo il volume, seppur redatto con rigore scientifico, non è destinato agli specialisti di archeologia ma si rivolge a quel vasto pubblico che in mancanza di strumenti idonei rischia di essere ingannato (o peggio, manipolato) da propaganda nazionalista e falsa informazione. Il testo – come esemplifica il titolo – si sviluppa attorno a verità e leggende. Partendo da alcuni luoghi comuni ormai radicati persino in ambito accademico e da una serie di inesattezze riportate sui giornali, gli autori ne de-costruiscono il senso, facendo leva sulle fonti letterarie e sulle più aggiornate acquisizioni delle scienze storiche. Ne consegue il racconto di una città straordinaria, non araba ma simbolo di un cosmopolitismo religioso e culturale che l’ha resa ostaggio degli attuali interessi geopolitici in Medio Oriente.

Di Tadmor, così è detta Palmira in alcune tavolette assire del II millennio, non si persero mai le tracce. Ma il deserto era un ostacolo più grande della memoria, finché nel 1751 due intrepidi commercianti inglesi, Robert Wood e James Dawkins, si spinsero nell’Oasi e vi restarono per qualche giorno. The ruins of Palmyra, otherwise Tedmor, in the desert – pubblicazione apparsa a Londra nel 1753 e corredata dalle magnifiche incisioni di Giovanni Battista Borra – sorprese l’Europa. Da allora, viaggiatori e artisti si recarono a Palmira per assaporarne l’incanto. Le prime esplorazioni scientifiche, tuttavia, vennero incoraggiate dall’imperatore Guglielmo II, giunto in Siria nel 1898: Theodor Wiegand e Daniel Krencker svelarono la bellezza dalla sabbia. Negli anni ’20 del XX secolo, sotto il mandato francese, fu la volta dei cantieri diretti da Henri Seyrig e Daniel Schlumberger. Il 1945 segnò l’indipendenza della Siria e l’apertura alle missioni archeologiche straniere. Prima che i miliziani di Daesh conquistassero Palmira se ne contavano numerose (svizzera, polacca, tedesca, giapponese, danese, italiana…). Impossibilitati a proseguire il lavoro sul terreno, al momento gli esperti valutano i danni e discutono sull’opportunità di ricostruzione dei polverizzati templi di Bêl e Baalshamin. La città di Zenobia – che non di un regno ma di un sogno universale era regina – ha il volto sfigurato dalla violenza di esplosioni e saccheggi. Ciò nonostante, ricomporre i pezzi della Storia come fanno Annie e Maurice Sartre è già ricostruire. Per consegnare al cuore antico del popolo siriano la dignità che gli spetta.