«L’attività dei partiti politici e delle associazioni su tutto il territorio nazionale sono sospese fino a nuova disposizione per ragioni di ordine pubblico». Lo ha comunicato mercoledì scorso il colonnello Abdoulaye Maïga, portavoce del governo maliano, in riferimento al decreto firmato lo stesso giorno dal presidente ad interim e uomo forte del paese, colonnello Assimi Goïta.

Si tratta di una nuova restrizione a qualsiasi espressione di dissenso verso la giunta militare che ha preso il potere con la forza nell’agosto 2020, rovesciando l’allora presidente Ibrahim Boubacar Keïta, principalmente per la sua inerzia nel contrastare la minaccia jihadista che flagella il paese da oltre 10 anni. Il colonnello Maïga ha giustificato la sospensione dei partiti invocando un «dialogo nazionale» iniziato il 31 dicembre dal colonnello Goïta. L’avvio di questo dialogo e il mancato rispetto della scadenza del 26 marzo hanno dato luogo a «discussioni sterili», ha affermato Maïga, indicando che le «azioni sovversive dei partiti politici non fanno che aumentare un clima di confusione in un momento così difficile». Entro il 26 marzo in base agli accordi tra la giunta e la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) sarebbe dovuta iniziare una «transizione politica», con l’organizzazione di elezioni legislative e presidenziali e ritorno dei civili alla guida del paese.

In questi anni le opposizioni politiche hanno lamentato una progressiva privazione della «libera espressione», attraverso l’utilizzo di misure coercitive, oltre allo scioglimento di numerose associazioni della società civile. Misure sempre giustificate dai militari con la «necessità di unirsi attorno alla giunta in un paese che dal 2012 si confronta con il jihadismo e una crisi multidimensionale». Il mancato rispetto di «tempi certi sulla transizione» ha portato 80 partiti e associazioni a chiedere di «porre fine al potere dei militari». In due diversi comunicati stampa partiti, associazioni e la Rete dei difensori dei diritti umani in Mali (Rddhm) sostengono che la durata naturale della transizione è «terminata» ed è tempo di ritorno all’ordine costituzionale.

Dalla presa del potere, consolidata da un secondo colpo di stato nel maggio 2021, la giunta ha prima infranto la vecchia alleanza con la Francia e i suoi partner europei per rivolgersi militarmente e politicamente alla Russia, con l’utilizzo di oltre 2mila mercenari russi della Wagner, spesso accusati di violenze contro i civili. Nel 2023 ha successivamente cacciato la missione Onu della Minusma, presente dal 2013, e più recentemente ha revocato l’Accordo di Algeri del 2015 siglato con i gruppi Tuareg del Nord riconquistando lo scorso novembre la città di Kidal, bastione degli indipendentisti.

Dura la reazione delle opposizioni politiche. Per la prima volta in quasi quattro anni, la parola «dittatura» viene usata contro le autorità militari di transizione. Tutte le forze politiche hanno chiesto «la disobbedienza civile per difendere le conquiste democratiche e preservare la forma repubblicana dello Stato», in risposta alla «nuova proposta di dialogo nazionale» evocata lunedì dai militari, e soprattutto come reazione al divieto governativo che «limita la libera espressione e vieta ai media locali di riferire sulle attività dei partiti nel paese».