Renzi come Tsipras? Macché, meglio: più anti-rigore, più anti-debito, persino più anti-Troika. Da domenica sera va in onda, su tv e social network, la passione greca che ha colpito i dem italiani mentre lo scrutinio certificava la vittoria a valanga della Coalizione della sinistra radicale (questo, per la cronaca, significa l’acronimo Syriza).

E il Pd si scopre grande amico della sinistra greca, pur restando acerrimo nemico di quella italiana, il cui programma è fotocopia di quella. Sforzandosi di riscrivere a ritroso una corrispondenza di amorosi sensi fra il leader delle larghe intese italiane e l’inflessibile rottamatore di quelle greche. Molti dem non hanno dubbi sulle affinità: il blairiano sarebbe un precursore del comunista.

«Tsipras saprà sfruttare al meglio il risultato elettorale per consolidare in Europa il percorso per la crescita cui ha lavorato Renzi in questi mesi», esulta Debora Serracchiani. «Renzi è l’antesignano della battaglia per cambiare le politiche economiche europee, con tutti noi socialisti», giura Gianni Pittella. Peccato che, a proposito di socialisti, in Grecia Tsipras ha spazzato via il Pasok, partito fratello del Pd. Quello che nel dicembre 2012 Bersani invitò a Roma affidando al leader Venizelos una relazione su come la Grecia può uscire dalla crisi grazie al Memorandum, le dure condizioni accettate dal governo Pasok-Nuova Democrazia ora stracciate da Tsipras.

Pittella si augura che «Renzi e Tsipras si parlino». Ormai è inevitabile. Eppure Renzi ha inviato al vincitore greco un telegramma di «sentiti auguri» degno di un consumato equilibrista: «La sfida che ti attende è sicuramente molto impegnativa: un intero continente segue le vicende politiche greche con grande partecipazione».

Finora Renzi si era tenuto alla larga dal candidatissimo, che veniva in Italia solo su invito della sinistra radicale. Non l’ha voluto incontrare quando, nel luglio 2014, Tsipras venne a Roma e mandò avanti le diplomazie per organizzare un incontro. Che non ci fu. «Mancato per un soffio», si giustificarono da Palazzo Chigi quando il greco era già sull’aereo. Qualche mese dopo il premier greco in pectore fa inoltrare una nuova richiesta di incontro. Ma di nuovo non se ne fa nulla.

Non era andata così quando a Palazzo c’era Enrico Letta. Ex dc, certo non contrario alle politiche di rigore, l’8 febbraio 2014 Letta si precipitò dall’aeroporto a Roma – era di ritorno da Sochi – per spalancare le porte del suo ufficio a quello che già il settimanale tedesco filo-merkel Der Spiegel aveva definito «il nemico numero uno dell’Europa».

Renzi invece francamente se n’è infischiato. Fino a domenica. Anzi fino al 16 gennaio quando – a due settimane dal voto e a risultato già annunciato – alla direzione del Pd non ha potuto non accettare un ordine del giorno di Stefano Fassina (tsipriota della prima ora) che chiedeva «al Pse e a S&D di impegnarsi per far finire le ingerenze internazionali sul voto greco e a «avviare un percorso di dialogo con le principali forze progressiste elleniche». Nei giorni scorsi Tsipras ha chiesto pubblicamente la collaborazione di Renzi sul piano europeo. Ovvio: il leader greco non vuole farsi isolare nella trattativa per rinegoziare il debito e i trattati. Ma tanto basta ai renziani per vantarsi della sintonia fra i due presidenti.

Ma la verità è un’altra e sono in pochi nel Pd ad ammetterla. Lo fa la giovane e seria deputata Anna Ascani che domenica sera, di fronte al profluvio dei nuovi amici di Tsipras nel suo partito, ha twittato: «Segnalo agli entusiasti che il Pse, i l nostro partito insomma, ha perso. Di brutto». E Francesco Boccia: «Renzi, il Pd e il Pse hanno fatto degli errori, che alcuni di noi hanno rilevato nei mesi scorsi quando Schulz e Juncker hanno restaurato l’architettura istituzionale comunitaria. Le ricette non funzionano più».

E naturalmente Stefano Fassina, il dissenziente Pd che nei giorni scorsi era stato ad Atene, come Pippo Civati, a incontrare gli economisti di Syriza. «Il nostro jobs act è l’esatto opposto del programma di Syriza», spiega, «Renzi dovrebbe imparare il discorso di verità fa Tsipras: l’Europa della svalutazione del lavoro e della Troika non funziona e porterà a sbattere. Noi ci siamo concentrati sui decimali di flessibilità mentre occorre dire che servono investimenti pubblici e un allentamento delle politiche di austerità». Quello che Tsipras, e non Renzi, ha messo come condizione della trattativa sul tavolo europeo.