L’intera popolazione del Belgio, circa 11 milioni di persone, riceverà delle pastiglie di iodio, destinate a proteggere la tiroide dalla radioattività, in caso di incidente in una centrale nucleare (per vetustà, il rischio terrorismo non viene evocato). La decisione è stata annunciata qualche giorno fa dalla ministra della Sanità, Maggie De Block. Finora, le pastiglie di iodio, misura considerata trascurabile dagli oppositori del nucleare, erano distribuite solo in un arco di 20 km attorno alle centrali. La ministra ha reagito all’allarme crescente attorno alle centrali di Tihange, Doel, e alle centrali di ricerca nucleare di Fleurus e Mol. Pastiglie di iodio saranno distribuite anche a Chooz, in Francia e a Borssele in Olanda, cittadine al confine con il Belgio, situate nell’arco dei 100 km. da una centrale. L’allarme attorno allo stato di salute delle centrali del Belgio è cresciuto quando la Germania e il Lussemburgo hanno chiesto a Bruxelles l’arresto provvisorio dei reattori di Doel 3 e Tihange 2, dove sono state reperite delle fissure preoccupanti. Qualche settimana fa, la Germania, il Lussemburgo e la Svizzera hanno rivolto un’analoga richiesta alla Francia.

Anche in Francia vengono distribuite delle pastiglie allo iodio attorno alle 19 centrali (con 58 reattori), ma solo nell’arco di 10 chilometri. L’allarme si è diffuso in occasione della nuova distribuzione, avvenuta di recente, per sostituire quelle del 2009, ormai scadute. Questa campagna è coincisa con le richieste di chiusura di alcune centrali francesi da parte di paesi confinanti. La Germania ha chiesto ufficialmente alla Francia di chiudere la centrale di Fessenheim in Alsazia, la più vecchia del paese, in funzione dal ’77 e che Hollande aveva promesso di dismettere (ora dice che lo stop sarà per il 2018, cioè con la prossima presidenza). Berlino accusa Parigi di aver minimizzato un recente incidente. Contemporaneamente, la Svizzera ha sporto denuncia contro la centrale del Bugey, che è a 70 km da Ginevra, per “messa in pericolo della vita altrui e inquinamento delle acque”. A queste proteste si è aggiunto il Lussemburgo, che a sua volta reclama la chiusura della centrale di Cattenom in Mosella, che non rispetterebbe le norme di sicurezza stabilite dopo Fukushima (dove il reattore n.3 funzionava con il Mox, prodotto dalla francese Areva). Queste reazioni europee fanno seguito a una presa di posizione della ministra dell’Ecologia, Ségolène Royal, che ha evocato la possibilità di allungare la vita delle centrali francesi di altri dieci anni, portandola a 50 anni (gli Usa l’hanno estesa a 60 anni e paesi come la Svezia o l’Olanda stanno riflettendo a una decisione analoga).

Secondo il presidente dell’Autorità di sicurezza nucleare, Pierre-Franck Chevet, le centrali francesi sono entrate “in un periodo molto delicato, senza precedenti”. Chevet afferma che “la maggior parte dei 58 reattori francesi, ma anche i siti di Areva (combustibile nucleare) e dei reattori di ricerca del Cea, cioè circa 150 installazioni, sono stati messi in servizio negli anni ’80 e quindi si avvicinano ai 40 anni di funzionamento”. Sono quindi necessari lavori di ammodernamento e di sicurezza, se la loro durata verrà prolungata ancora. Questo richiede investimenti consistenti da parte dello stato, che pero’ ha le casse vuote. Edf e Areva sono controllati dallo stato. Edf, che gestisce le centrali, ha previsto 50 miliardi di euro di investimenti per la modernizzazione dei reattori. Areva deve far fronte alle anomalie di costruzione rilevate nel reattore di ultima generazione Epr di Flamanville. Ma le due società, un tempo fiori all’occhiello dell’indipendenza energetica della Francia, sono in crisi e affondano nei deficit e nei debiti. Lo stato ha già rinunciato per alcuni anni ad incassare dividendi. E si è impegnato a investire, in un aumento di capitale di 4 miliardi di euro per Edf, mentre per salvare Areva, che sta perdendo denaro anche nella mai finita costruzione di un Erp in Filandia, ci sarebbe bisogno almeno di altri 5 miliardi di soldi pubblici. Edf ha rimandato la decisione di investire in Gran Bretagna, dove avrebbe dovuto firmare un mega-appalto per la costruzione di due Epr a Hinkley Point, per un valore di 24 miliardi. Nel 2008, Edf ha acquisito British Energy (15,7 miliardi di euro). Il ministro dell’Economia, l’ambizioso (anche politicamente) Emmanuel Macron, aveva già dato la firma come avvenuta, ma l’ad di Edf, Jean-Bernard Lévy, frena. Ci sono già state le dimissioni del direttore finanziario di Edf, assolutamente contrario all’investimento a Hinkley Point, come lo sono i sindacati di Edf. “Proponiamo di rimandare il progetto di qualche anno – dicono i sindacati di Edf – e di costruire a Hinkley Point l’Epr ottimizzato, meno caro, sul quale Edf sta già lavorando”. L’Epr si vende male, dopo i due reattori venduti alla Cina nel 2008.