La polemica fra renziani, sinistra dem e Laura Boldrini è solo l’assaggio della giornata ad alta tensione che si è consumata ieri nel Pd. La paura dello scioglimento delle camere è un formidabile collante in aula. Ma nelle pause tra una fiducia e l’altra fra i dem tira un’ariaccia.
Iniziamo dal mattino: al premier non sono piaciute le frasi della presidente della camera – nell’ordine – sulla poca considerazione del governo verso i pareri delle camere (sul jobs act), sull’«uomo solo al comando» e infine sulla mancanza del presupposto di «urgenza» per l’eventuale decreto sulla Rai. Gli osservatori più accorti leggono in queste parole il tentativo della presidente di riposizionarsi come figura di garanzia dopo le dure contestazioni dei grillini e persino della sua Sel nel corso della seduta fiume sulla riforma costituzionale. Invece per la cerchia renziana sono gesti di insopportabile insubordinazione politica di un esponente «della sinistra radicale». I due vicesegretari Pd attaccano ad alzo zero: Lorenzo Guerini le dà «una lezione di costituzione» («La valutazione sulla necessità e urgenza di decreti legge spetta al presidente della Repubblica e a nessun altro»), Debora Serracchiani rincara: del decreto «ci sono tutte le condizioni». Dalla minoranza Pd parte la contraerea: «Grazie presidente Laura Boldrini per la difesa dell’autonomia del parlamento. Sono gravi gli attacchi dal Pd. Siamo una Repubblica parlamentare», twitta Stefano Fassina. Vendola convoca una conferenza stampa per denunciare «il rischio di autoritarismo» del governo: «La Boldrini difende le prerogative del Parlamento e allora l’accusa è ’Boldrini fa politica’. Landini difende i diritti dei lavoratori e allora l’accusa è ’Landini fa politica’. Pare che l’unico titolato a fare politica e a anche antipolitica sia soltanto Renzi. Ma questo, mi dispiace per lui, non potrà essere». Persino il centrista Lorenzo Dellai, certo non nemico di Renzi, sbotta: «Le censure alla Boldrini sono improprie».

La sostanza dello scontro è altamente infiammabile. A lamentare il mancato rapporto fra governo e parlamento era stato anche il capogruppo Pd Speranza, della minoranza bersaniana. Ma il vero pericolo, per Renzi, non è una levata d’ingegno dell’esangue sinistra interna. Il vero pericolo è che sull’opportunità di un decreto sulla governance Rai sia filtrata la contrarietà del Colle. Se Renzi insistesse su questa strada, come i suoi famigli sembrano indicare, si segnerebbe la prima distanza fra Quirinale e Palazzo Chigi. Potrebbe essere una svolta nel clima della legislatura.

I metodi spicci del premier in serata fanno saltare i nervi anche a molti dem. Nel pomeriggio Renzi invia una lettera ai parlamentari. Contiene uno stop alle riunioni di corrente che negli ultimi tempi si moltiplicano, insieme alla nascita di nuove parrocchie: «Vorrei che il nostro confronto fosse sui contenuti più che sulle etichette. Che fiorissero idee più che correnti», scrive. L’avviso però arriva a poche ore dalla riunione dei «catto-renziani» (la definizione viene respinta, giustamente, visto che sono invitati anche i ’laici’ veltroniani) di Matteo Richetti. Un’area di renziani della seconda ora, non riconosciuti come ’doc’, che si è convocata in reazione alla nascita della corrente ’degli ortodossi’ per iniziativa del duo Boschi-Lotti, in questo caso con la benedizione di Renzi. I primi e i secondi, rispettivamente fedeli e fedelissimi del premier, cercano di ricavarsi un ruolo nella piramide sempre più stretta del ’giglio magico’. E così stavolta è la maggioranza dem a dividersi.

Non è finita. Nella lettera c’è anche un appuntamento per venerdì pomeriggio al Nazareno per affrontare i tanti temi che andranno in discussione nei prossimi giorni nelle camere. Lo stile è ormai quello del renzismo «no-limits», assomiglia all’invito a un tavolo della Leopolda piuttosto che a una riunione di legislatori in procinto di legiferare su materie cruciali per il paese. Scrive Renzi: «Venerdì pomeriggio abbiamo organizzato al Nazareno un punto della situazione informale su quattro temi di qualche interesse: 1. Scuola, dalle 14 alle 15; 2. Rai, dalle 15 alle 16; 3. Ambiente, dalle 16 alle 17; 4. Fisco, dalle 17 alle 18», «vi chiedo di partecipare ai singoli gruppi che vi interessano e/o di mandare contributi scritti (brevi e scritti in un linguaggio semplice: astenetevi dal burocratese, per favore!) sui singoli temi che più vi interessano o riguardano». Bersani non si tiene: «Siamo al limite, è ora di fare le cose seriamente. I gruppi li convocano i capogruppo, stabiliscono gli ordini del giorno e invitano il segretario. Non c’entra il Pd, non c’entrano i bersaniani o i renziani, c’entra il tema di come concepiamo la democrazia e il rapporto tra governo e parlamento. Cinque minuti per parlare di fisco, cinque per l’ambiente, ma scherziamo?». Sarcastico Alfredo D’Attorre: «Magari mi esercito in tweet che sono la misura giusta per incontri di un’ora su temi che richiederebbero un confronto approfondito».