Sono vari i motivi per cui si ricorda o commemora qualcuno o qualcosa, non ultimo quello di divulgarne la memoria. Ancora più nobile e necessario ne è il ricordo se la sua esistenza era animata da un spirito prometeico. Era questo il caso della rivista filosofica jugoslava Praxis, della cui nascita in questi giorni ricorrono i sessant’anni. Praxis, assieme alla Scuola estiva di Curzola (1964-1974), rappresentò un palcoscenico intellettuale particolare, di brevissima durata, di appena dieci anni. Si trattò della stagione in cui il paese non allineato, nel quale veniva sperimentata l’autogestione, era visto come fiore all’occhiello da coloro che speravano nelle possibilità di una terza via al socialismo. I fondatori della rivista furono i filosofi zagabresi Gajo Petrovic, Rudi Supek e Predrag Vranicki, ma la sua riuscita fu anche frutto della collaborazione con colleghi belgradesi come Mihajlo Markovic, Veljko Korac, Zagorka Golubovic, Ljubo Tadic e Svetozar Stojanovic.
Infatti, anche se la rivista fu pubblicata dalla Società filosofica croata, la sua edizione internazionale (1966-1974), venne coeditata dalla Società filosofica jugoslava. Oltre ai pensatori jugoslavi, molti con alle spalle l’esperienza partigiana, nella rivista pubblicarono anche le più prestigiose firme della sinistra mondiale dell’epoca, come Kosta Axelos, Ernest Bloch, Erich Fromm, passando per Lucien Goldmann, Henri Lefebvre e Herbert Marcuse, assieme ad Agnes Heller e Zygmunt Baumann che, all’epoca, vivevano ancora nella galassia sovietica.
Ovviamente, non mancarono contatti con filosofi italiani, in particolare con Enzo Paci, Umberto Ceroni, Lellio Basso, ma particolare fu il sodalizio con la rivista Italiana Utopia e il suo redattore Mario Spinella. Utopia ospitava interventi dei compagni Jugoslavi e regolarmente informava i propri lettori sulle sessioni della Scuola estiva di Curzola. Così, in pochi anni, la rivista Praxis diventò assieme alla Scuola, luogo di confronto e di riflessione tra filosofi dell’Est e dell’Ovest, cosa non da poco in un mondo diviso dalla Guerra fredda. Il pregio della rivista era ed è il fatto che in essa i filosofi jugoslavi cercarono di ripensare criticamente il socialismo, vivendo in uno Stato che ne tentava la realizzazione. Infatti, anche se nella rivista non mancarono contributi sulla società di consumo, i più interessanti rimangono quelli relativi alla critica dei metodi e delle vie adottate nella realizzazione della società socialista.
La chiave di lettura era quella del marxismo umanista, antistalinista e antidogmatico, che si apriva e cresceva attraverso un fecondo dialogo con la teoria critica e l’esistenzialismo. Il nome Praxis venne scelto poiché era convinzione dei filosofi jugoslavi che la «prassi» fosse concetto centrale del pensiero marxiano, che rinchiudeva in sé l’idea che la filosofia «è il pensiero della rivoluzione», nel senso della critica spietata di tutto l’esistente e di una «visione umanista di un mondo veramente umano».
Il presupposto per l’apertura di un dibattito e la nascita di un marxismo antistaliniano in Jugoslavia, fu lo storico «no» di Tito a Stalin nel 1948. Questo rese possibile la nascita in Jugoslavia di una particolare interpretazione del pensiero di Marx, più aperto alle influenze del marxismo occidentale. Praxis così, in breve diventò la voce più autorevole di una critica di sinistra e da sinistra, alla costruzione del socialismo in Jugoslavia.
Con un’impostazione così criticista e radicale, in poco tempo si aprì uno scontro tra la burocrazia al potere e la rivista. Scontro che portò alla fine di quest’ultima. Infatti, i dieci anni della sua esistenza furono segnati da innumerevoli scontri e polemiche tra regime e intellettuali raccolti attorno alla rivista. Scontri che culminarono non solo nel divieto di vendita di alcuni numeri nel 1971 (nei quali veniva fatta una spietata critica del nazionalismo che era promosso in quegli anni da alcuni membri della Lega comunista), ma anche con la revoca nel 1974 dei mezzi finanziari necessari per la vita tanto della Scuola di Curzola quanto della rivista. Revoca che ne segnò la fine. A dimostrazione di quanto fu scomoda per il regime una voce critica marxista.
Una delle principali caratteristiche della rivista, infatti, era l’internazionalismo e l’atteggiamento fortemente critico verso ogni forma di nazionalismo. Per i filosofi Jugoslavi, come avevano scritto, né il socialismo né il marxismo erano qualcosa che si potesse chiudere dentro recinti nazionali, se non a costo di una loro totale deformazione. Le riflessioni dei praxisti sono soprattutto una miniera di strumenti per valutare le modalità di costruzione di una società più libera e socialista, dal momento in cui gli oppressi hanno già preso il potere. Rimane aperta la domanda se questi possono essere ancora utili o si tratta solo di un insieme di oggetti da schedare, archiviare e riporre in depositi museali. Non sembra sbagliato ricordare che la «critica spietata di tutto l’esistente» ha comunque un valore in ogni società, ed è uno strumento che aiuta a comprendere meglio il nostro presente e a pensare un futuro, chissà forse più umano.