«C’è vita a sinistra», dice Mr. Spock nell’azzeccatissima vignetta di Biani, ma di che «vita» parla il vulcaniano? La «vita», anche quella delle formazioni più o meno politiche, è un insieme complesso di fattori interconnessi ed in equilibrio dinamico tra loro, che non sempre danno come risultante la positività e l’efficienza di un organismo in rapporto alla sua supposta funzione.

E, in effetti, c’è vita a sinistra, ma non si può certo dare per acquisito, anzi, che le forme di essa servano tutte la causa che, secondo la classica definizione di Bobbio è «sinistra», cioè l’inclusione. Anche le forme neoplastiche, per restare nell’analogia biologica, sono forme di vita ma, com’è noto, finiscono per distruggere il corpo che le ha generate, e dal quale le divide l’assenza di un fattore che, anche fuori di metafora, dovrebbe suscitare un certo grado di riflessione. Questo fenomeno assente nelle neoplasie si chiama «inibizione da contatto».

Il nostro corpo, fatto di miliardi di cellule, può rimanere una entità organicamente funzionante e funzionale poiché, ad un certo punto della loro evoluzione, tutte le cellule dell’insieme fermano la loro crescita al contatto di altre cellule. E dunque, la Madre Materia, o Dio, o il Caso che diventa Necessità, poco importa a questo punto, introduce un fattore non solo inibente, ma altresì altamente collaborativo, per permettere ad un organismo vivente di vivere nella sua interezza in omeostasi. Ma ecco che, ad un certo punto della sua storia, l’umanità nel suo insieme perde questo fattore, diventando un organismo neoplastico che distrugge il corpo del quale fa parte, ed infine, anche se stesso. Che il modello di sviluppo oggi prevalente appaia come una neoplasia è evidentissimo.

Il corpo di Gaia è affetto da un tumore altamente maligno che è il modello bioliberista, e su questo non c’è molto da aggiungere.

Sarebbe però importante capire non solo il come, i suoi dispositivi, ma il perché questa esiziale patologia si è sviluppata. Evidentemente l’umanità nel suo insieme, certo guidata da un sistema perverso, ma anche la sinistra storica, è stata partecipe di questa degenerazione, ha cioè perso il contatto con altre forme di manifestazione del vivente che riteneva, a torto, inferiori se non addirittura non facenti parte della biosfera. Non è forse vero che tra il modello di sviluppo sovietico e quello capitalista, dal punto di vista dello sfruttamento della natura, non vi era nessuna differenza? E non è altrettanto vero che, anche oggi, cioè da dopo che gli squilibri ambientali sono diventai drammatici, possiamo constatare la subalternità evidente, ontologica, delle relazioni tra umanità e Mondo nel suo insieme, a quelle tra capitale e lavoro? Non rappresenta tutto questo, a sinistra, una manifestazione della carenza della «inibizione da contatto»?

Il massimo dell’innovazione concettuale e paradigmatica, a sinistra, sembra essere quello sul genere che, comunque ancora molto carente, spesso politicamente viene ridotto alle quote rosa.

Certo una striscia di verde insieme al rosso ci sta bene, come sulla bandiera giamaicana ma, nel concreto del dibattito sulle nuove categorie di una sinistra all’altezza delle sfida con un Mondo che muore, poche voci e subito derubricate per tornare alle grandi questioni di sempre: come ci organizziamo, chi comanda, dove trovare le truppe, chi viene eletto e dove. Non si può costruire un modello alternativo, cioè basato al tempo stesso su di una solidarietà di specie e biosferica, cioè tra tutte le forme del vivente, se non ripensando le categorie portanti della «vita a sinistra», finalmente uscendo dal paradigma più grettamente marxista per farsi carico della vera contraddizione del nostro tempo: quella tra noi e la Vita.

In questo siamo molto indietro, ed è per ciò che la sinistra sta fallendo nel suo compito, perché ragiona con le stessa categorie dell’avversario, ed in questo campo è la destra che ha più numeri. Quando si dice che è il Capitale che ha vinto la lotta di classe si dice una indubbia verità. Ecco perché bisogna creare una nuova epistemologia politica, ripensare non solo il come, ma il senso complessivo del nostro agire, le sue ragioni di fondo.

E di questa necessità parla anche Gregory Bateson, nel suo tentativo di creare una nuova epistemologia per svelare la «struttura che connette» il vivente; egli propone l’identità essenziale tra tutte le manifestazioni del Mondo come definizione stessa di ecologia: «Ciò che noi crediamo di essere, dovrebbe essere compatibile con ciò che crediamo del Mondo intorno a noi».

Nel suo ultimo libro, che non a caso si chiama Dove gli Angeli esitano, egli dedica la sua estrema riflessione alla ricerca di una «trama che connette» tutto il vivente attraverso livelli sempre più analogicamente complessi di comunicazione, che egli definisce come mente, intendendo con questo ogni sistema capace di scambiare informazioni tra manifestazioni vitali, qualunque ne sia il livello di sensibilità o autoconsapevolezza. Una posizione decisamente anticartesiana che ribalta la distinzione fondamentale del «moderno» tra res extensa e res cogitans attribuendo ad ogni aggregato materiale una qualche forma di entità. In altre parole (eresia!) le risposte che cerchiamo non sono solo dentro di noi ma giacciono nell’intelligenza collettiva formata da tutte le manifestazioni viventi.

Ecco allora, come dice giustamente Mr. Spock: «C’è vita a sinistra», ma penso che il saggio vulcaniano intendesse proprio questo.