Atene, sola come Praga nel 1968, ha dovuto per il momento arrendersi non per errori di questo o quel suo leader, ma semplicemente perché le forze in campo erano troppo impari. La sinistra europea non è intervenuta in suo aiuto. In particolare, non è intervenuta – a parte le dichiarazioni di solidarietà e il tifo da bordo campo – la sinistra italiana. Né poteva farlo, essendo divisa in un numero indefinito di partiti e tronconi che, nonostante l’esempio di Syriza e diversi anni di “trattative unitarie”, non hanno – irresponsabilmente – fatto il minimo passo sulla via dell’unità. E’ il debito che abbiamo con la Grecia. Con la Grecia, cioè in realtà con noi stessi.
Una parte non piccola dell’Italia – la Sicilia, ad esempio – versa in condizioni peggiori della Grecia, e gli ultimi rapporti statistici ne danno pieno conto. Nella catastrofe siciliana intervengono fattori specifici: il peso del potere mafioso e la terrificante incapacità di tutta la classe politica locale. Ma anche qui la sinistra, divisa e astratta, non è stata capace né di unirsi né di percepire l’idea di lotte unificanti come ad esempio quella per l’antimafia sociale, politica e non semplicemente legalitaria. In questa emergenza, che fare?
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Primo. Bisogna unire al più presto subito, entro l’autunno, tutte le forze di sinistra, nessuna esclusa: da Sel al Pcr ai “civatiani” alla Coalizione sociale a Fassina. Ogni settimana persa su questo terreno implica l’accettazione della sconfitta e il tradimento del popolo siciliano. Le formazioni parziali, con le loro varie e utopistiche ambizioni, non hanno più alcun senso.
Secondo. L’accordo fra le varie componenti è solo una precondizione. L’abbiamo fatto – ricordate – altre due volte: l’Arcobaleno, la Rivoluzione Civile. E’ andata buca tutt’e due le volte, e se ci comportiamo come allora andrà buca una terza. Faremo un’altra Sinistra Arcobaleno col bilancino? Punteremo su un altro Vip come Ingroia o la Spinelli?
Terzo. Il manuale Cencelli non funziona, soprattutto fra piccoli partiti. Bisogna allargarsi moltissimo, abituarsi a rischiare tutto. Il nostro candidato medio non dev’essere un dirigente del minipartito A o del minipartito B. Dev’essere qualcos’altro – e c’è moltissimo da scegliere, se si ha il coraggio di aprire le porte dei fortini. Oppure siamo convinti che i fortini servano ancora a qualcosa?
Quarto. Dovremmo imparare ad esprimerci, esprimerci in italiano. Il linguaggio di tutti i gruppi di sinistra è semplicemente illegibile: una versione “moderna” del latino ecclesiastico. Non è un fatto tecnico, ma profondamente politico. Non riusciamo a comunicare perché in realtà vogliamo solo “dibattere” fra di noi, non comunicare con l’esterno.
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Se non parliamo come le persone comuni, non avremo mai il voto delle persone comuni. Ma soprattutto non impareremo mai dalle persone comuni. Il nostro bacino elettorale – non quello del quattro percento, ma quello della Syriza o Podemos italiana – si aggira sul venticinque percento. Metà sono persone che non hanno votato, non perché particolarmente rivoluzionarie, ma semplicemente perché perplesse. Metà sono cattolici cui il messaggio di Papa Francesco sta arrivando a poco a poco, lentamente.
Ma siamo in grado di comprenderli, di parlare realmente con loro, usando un linguaggio comune e non i nostri gerghi?
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Queste quattro questioni sono – qui e ora – le uniche cose importanti. Le alchimie di corrente, le diplomazie, le piccole cariche da conservare o ottenere invece non sono importanti, non qui, non ora.
Vogliamo un’Europa dei popoli, non delle mafie e delle banche come ora. Vogliamo l’Europa delle “Lettere della Resistenza Europea”. Migliaia di esseri umani, di venti nazioni diverse, che hanno lottato per fare un’Europa popolare. Ci indicano una strada precisa. E’ tempo di rimetterci in cammino, seriamente e tutti insieme.
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La mafia, il potere mafioso, l’economia mafiosa (cioè gli assassini storici della Sicilia, e non solo) non saranno mai combattute da quest’Europa di finanzieri. Dobbiamo liberare l’Europa, per liberare davvero anche noi siciliani. Lanciamo una lotta di massa per riprenderci i miliardi che ci hanno rubato i mafiosi e i loro amici, e cominciare a dividerceli fra noi siciliani. A cominciare dai nostri giovani, umiliati all’estero e strozzati a casa loro.
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La Grecia ha smascherato il vero volto dell’oligarchia d’Europa. Questo esempio, pagato da tutto un popolo, non deve andare sprecato. Uniamoci, ma subito e non fra sei mesi. Chiamiamo dirigenti nuovi a dirigerci, che vengano dalle strade e non dalle stanze chiuse. Riprendiamo la vecchia strada della sinistra: lotte di massa, aperte a tutti, con poca ideologia ma molto buonsenso popolare, a partire da quelle – storiche, qui in Sicilia – contro i poteri mafiosi e paramafiosi. Pensiamo a delle liste popolari, con candidati scelti dal basso e non nelle segreterie.
Aiutiamo la Grecia, aiutiamo noi stessi, subito, a partire dalla Sicilia. La Sicilia non dev’essere il laboratorio per l’ennesima alchimia di potere locale, ma l’avanguardia della riscossa contro i poteri reali. Oggi contro la mafia, domani contro Marchionne. E poi contro i poteri economici di questa falsa Europa. Un passo alla volta, ma cominciando subito. Solo così avremo il diritto di guardare in faccia i greci.

Olga Nassis, Antonella Nuccio (Messina); Resi Iurato, Ester Nobile (Ragusa);
Angela Galici, Clara Denaro (Palermo); Giuliana Buzzone, Enza Venezia (Catania); Verdiana Morreale, Giacoma Di Franceco (Caltanissetta); Tiziana Biondi, Daria Di Giovanni (Siracusa). Aderiscono: Ermanno Giacalone, Riccardo Orioles