Il drammatico bilancio del venerdì di guerriglia a Baghdad è di 4 morti e 90 feriti. La polizia ha sparato su migliaia di manifestanti proiettili di gomma, bombe sonore ma soprattutto pallottole. Da anni l’Iraq non si trovava tanto in bilico, sull’orlo della guerra civile: l’assalto alla Zona Verde di venerdì è il secondo in tre settimane. Stavolta, però, nel mirino dei manifestanti (sadristi ma non solo: c’erano anche sciiti indipendenti e probabilmente sunniti ex baathisti) non è finito il parlamento, ma l’ufficio del primo ministro al-Abadi.

Il messaggio è cristallino: dopo mesi di richieste inascoltate, di pressioni perché venissero realizzate le riforme anti-corruzione e venisse nominato il nuovo governo tecnico, l’autorità del premier è carta straccia. Non lo ascoltano i partiti che continuano in un ostinato quanto cieco boicottaggio del rimpasto, non lo ascolta più la gente stanca di vuote promesse. Una frustrazione a cui si aggiunge la brutale violenza dello Stato Islamico: a riaccendere gli animi sono stati i quasi 250 civili sciiti uccisi dalle bombe e i kamikaze del “califfo” in una sola settimana.

Gli iracheni scendono in piazza perché pagano il prezzo dell’estremismo islamico e dei devastanti effetti che la corruzione ha sull’economia: la Zona Verde, area fortificata nel cuore di Baghdad sede delle istituzioni irachene, è il simbolo del gap tra ricchi e poveri, tra chi è protetto e chi non lo è.

Per questo gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e armi da fuoco non hanno frenato i manifestanti: vinti i cordoni della polizia, la folla ha preso d’assalto l’ufficio del primo ministro mentre il governo imponeva il coprifuoco Ieri mattina è tornata la calma e il coprifuoco è stato sospeso, ma il premier ha promesso una reazione: «La giustizia farà il suo corso contro ogni trasgressore», ha detto venerdì notte per poi avvertire del pericolo di caos interno mentre l’esercito è impegnato a frenare l’offensiva islamista.

Lo Stato Islamico è stato tirato in ballo anche dall’Onu che ieri ha espresso preoccupazione per l’assalto definendolo un regalo al “califfato”. Eppure è proprio la minaccia Isis che dovrebbe costringere le fazioni politiche a convergere: con un terzo del paese occupato, il parlamento iracheno resta attaccato a interessi personali e boicotta il cambiamento per non mettere in pericolo le reti clientelari che ogni partito ha imbastito. Miliardi di dollari arrivati per la ricostruzione si sono eclissati così nelle maglie della corruzione e c’è chi teme che accada lo stesso ai 5.4 miliardi di prestito che il Fondo Monetario Internazionale accorderà a giugno e che potrebbero sbloccare altri 15 milioni di aiuti esteri.

In tale contesto le immagini che giungevano ieri da Baghdad hanno una potenza quasi maggiore della guerriglia di venerdì: nel corteo per il funerale di due dei quattro manifestanti uccisi c’erano uomini in divisa, militari dell’esercito governativo, una presenza che destabilizza ulteriormente l’autorità centrale.

Il potere di attrazione esercitato da al-Sadr è senza precedenti perché fa breccia sia tra gli storici simpatizzanti che tra altre componenti delle comunità sciita e sunnita. Non sono pochi i sunniti che vedono nel carisma di un uomo che mira a farsi leader nazionale lo strumento per ottenere quell’integrazione politica che da un decennio è una chimera.

Non possono quindi che far pensare ad un’escalation le parole che al-Sadr ha pronunciato dopo gli scontri. Mentre il suo vice al-Moussawi criticava l’uso eccessivo della forza («Usare proiettili contro manifestanti pacifici è la prova che un governo presumibilmente legittimo si è trasformato in un governo di oppressione»), al-Sadr era molto più esplicito: «Nessuno ha il diritto di impedire la protesta – ha detto ieri – Altrimenti la rivoluzione assumerà altre forme».

Senza dimenticare che nei giorni scorsi le Brigate della Pace – l’ex Esercito del Mahdi, fondato da al-Sadr contro l’occupazione Usa – sono state dispiegate, armi in pugno, nei quartieri sciiti di Baghdad per fornire la sicurezza che le forze governative non sono in grado di dare.

La rottura è realtà e potrebbe essere aggravata dal ruolo delle milizie sciite più vicine all’esecutivo: ieri, secondo fonti sadriste, leader di diversi gruppi armati si sono ritrovati a Sadr City per discutere degli eventi di venerdì. Tra loro anche Hadi al-Amiri, comandante delle potenti milizie Badr, dipendenti dall’Iran, che ha avvertito del pericolo di uno scontro interno tra forze sciite.