Il governo Meloni non finisce mai di stupire. Dopo aver scavalcato a sinistra la costituzione americana, che prevede il diritto alla felicità, introducendo addirittura la resurrezione dei morti, ieri ha aggiunto un’altra spettacolare capriola. La ministra Maria Elisabetta Casellati ha infatti annunciato che gli emendamenti del governo al premierato presentati, appena 24 ore prima, potrebbero essere modificati. E per di più sul punto più delicato, su cui Fdi e Lega si sono scontrati, quello dei poteri del premier eletto e del possibile subentro di un secondo premier. Sul punto gli emendamenti di lunedì avevano già modificato le bozze di emendamenti che 4 giorni prima avevano messo a punto i capigruppo della maggioranza. Come dire, «abbiamo scherzato». E quindi potrebbero continuare a scherzare.

PARTIAMO dalla resurrezione, non più articolo di fede ma norma costituzionale. Uno dei 4 emendamenti del governo di lunedì, nel tentativo di mettere insieme il diavolo e l’acqua santa, Meloni e Calderoli (ognuno assegni le parti) risolveva la diatriba con una formulazione più degna di un catechismo che di una Costituzione. Il premier che si dimette volontariamente, può chiedere elezioni anticipate: «Qualora non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, il Presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatura, l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio». In caso di morte del premier, il Capo dello Stato può conferirgli di nuovo l’incarico. Si ride o si piange? Il passaggio aveva suscitato l’ironia, in particolare di Piero Fassino, che aveva chiesto «di salvare almeno la lingua italiana e il buon senso». La ministra Casellati, attraverso una «velina» anonima (ma perché le Agenzie ancora passano comunicati citando «fonti» e non l’ufficio stampa che lo invia?) ha risposto piccata all’esponente Dem: «Il testo è chiaro. Il riferimento alla possibilità di reincarico al presidente del Consiglio eletto è solo nell’ipotesi di dimissioni come è chiaramente scritto al presidente dimissionario. Le altre ipotesi si riferiscono al premier subentrante, come è ovvio che sia». Chissà se il governo troverà un Concetto Marchesi di destra che ci risparmi certi strafalcioni.

MA IERI LA MINISTRA ha in pratica detto che finora si è scherzato (il che darebbe un senso alla norma sul premier morto e reincaricato) e che i testi potrebbero ancora cambiare. La formulazione di lunedì, frutto di una faticosa trattativa nel fine settimana con Calderoli, prevedeva che il premier eletto potesse chiedere le elezioni anticipate solo in due casi: sfiducia con «mozione motivata» oppure a seguito di «dimissioni volontarie», per esempio in una crisi extraparlamentare della sua coalizione. Nulla diceva del caso più frequente, la fiducia negata dal Parlamento al governo che la pone su un singolo atto (la Finanziaria, o un decreto): in questo caso, trattandosi di dimissioni volontarie, il Presidente della Repubblica potrebbe optare per l’incarico a un secondo premier. Quello che vuole la Lega, che non vuole lasciare al premier eletto tutte le chiavi della politica. Casellati, lasciando a bocca aperta i cronisti che la interpellavano, ha sostenuto che un premier sfiduciato su un singolo atto non è obbligato a dimettersi e che se presenta le dimissioni al Quirinale, esse sono «volontarie». Quindi anche in questo caso il premier avrebbe il potere di ottenere lo scioglimento anticipato delle Camere. «Comunque se questo è fonte di equivoco potremmo togliere “volontarie”».

LA LEGA, che da venerdì è in silenzio stampa come la nazionale di calcio prima dei mondiali del 1982, ha continuato a tacere. La cancellazione di una parolina farebbe saltare gli equilibri tra poteri del premier e quelli dei partiti minori della coalizione, su cui il Carroccio è attestato su un non possumus. La ministra, sulla graniticità dei testi del governo, ieri, oggi e domani, ha detto una parola chiara ai cronisti: «Nulla è definitivo fuorché la morte». Che poi, parrebbe, neanche quella: almeno per il premier sfiduciato.