Dove sono finiti i movimenti contro la Copa? Elza è una docente e sindacalista, l’abbiamo conosciuta nel febbraio 2013 a Cinelandia durante una manifestazione di inseganti e studenti di Rio: «Il ritornello che Coppa del Mondo e Giochi Olimpici sarebbero stati una grande opportunità l’hanno ripetuto per anni. Quando nel 2013 la gente ha cominciato a scendere in strada rivendicando più diritti, si è fatto credere che questa era la prova che il Brasile era diventato una democrazia moderna, che addirittura sapeva ascoltare i suoi cittadini e le loro rimostranze, spenti i riflettori della Confederation Cup cominciò la repressione. Alcuni in carcere, altri li hanno talmente spaventati che non li si vedrà in piazza per molto tempo. Sono rimaste in piedi quelle realtà che portano avanti rivendicazioni territoriali o problematiche specifiche che esistevano già a prima della Coppa. Parlo di tutte quelle realtà che sono nate in seguito a un abuso di polizia o a sgomberi che colpiscono specifiche comunità. Del resto, è rimasto poco. Poi però è arrivato il golpe e la gente è scesa in strada di nuovo».
LA MACONHA
Il golpe, ormai lo chiamano così tutti, anche Deize, una donna di 45 anni che ha perso il proprio figlio nel 2008 e da allora si batte contro gli abusi di polizia nelle favelas, la raggiungiamo a Cantagalo, proprio sopra la spiaggia di Ipanema. Per arrivare in questa favela si utilizza un ascensore che è in funzione da qualche anno, uno dei pochi miglioramenti che la comunità ha ottenuto dopo la cosiddetta «pacificazione». Prima si poteva arrivare solo a piedi, attraverso sentieri molto ripidi. Si gode una vista mozzafiato salendo con l’elevatore, ancora di più se una volta scesi si sale delle piccole scale di sicurezza che portano a una specie di terrazza. Qui un gruppo di ragazzini è impegnato a fare ben altro che giocare, seppur molto piccoli. Vicino a loro un sacchetto di calce, del solvente, adrenalina in polvere e quello che serve per lavorare la cocaina di pessima qualità, che verrà venduta a prezzi stracciati. Anche a turisti che abboccano, visto la cifra. Qui incontro Deize che con un gesto rapido, senza farsi notare, fa suo il sacchetto di calce che poco dopo getterà: «Cosa credi che facciano i ragazzini qui tutto il giorno? Alcuni fanno quello che hai visto, altri imbustano maconha (così chiamano la marjuana qui) che poi vanno a vendere per le strade». Attraversando la favela ci mostra piccoli gruppi di minori che sono proprio dediti a questo tipo di attività. «Anche Andreu, mio figlio, finì in carcere, per questo. E sarebbe anche giusto punire chi spaccia. Noi vorremmo altro per i nostri figli. Ma loro non hanno una scuola, non ci sono attività che li portano via dalla strada. Passano tutto il tempo qui. Mio figlio fu arrestato per strada e me lo restituirono morto. Sai a quante famiglie è successo? E ora, con il taglio della Bolsa Familha, che permetteva alle famiglie di mandare i figli a scuola, come pensi che finirà, per molti di questi ragazzi? Noi madri ci facciamo forza una con l’altra e non ci arrendiamo. Abbiamo dato vita a campagne che sono servite a fare aprire gli occhi a molte persone. Siamo scesi per le strade contro le violenze della polizia e chiedendo sostegno e investimenti per le comunità e continueremo a farlo. Ma non è facile, in una città come Rio de Janeiro, coordinare battaglie sociali.
CARLINHO UTOPIA
Possiamo condividere rivendicazioni con comunità che stanno a Nord, fare arrivare le notizie attraverso la rete, i video, le foto di quanto accade e questo ha aiutato molto. In Italia ad esempio c’è Carlo Ghione che gestisce la pagina web Carlinho Utopia dove tutti i video che sono prodotti vengono tradotti nella vostra lingua in modo che non solo i brasiliani d’Italia ma anche voi stessi possiate vedere in che condizioni viviamo e lottiamo. Adesso che ci saranno i Giochi di sicuro accadrà che certe storie, come magari la mia, emergeranno, però sappiamo che finiti i Giochi l’attenzione ovviamente scemerà. Per questo far conoscere le nostre storie è sì importante ma dobbiamo essere consci che dobbiamo contare soprattutto su noi stessi».
MADRI CORAGGIOSE
Come in altri paesi, anche in Brasile ci sono madri coraggiose che dopo avere perso i figli lottano per avere sì verità e giustizia ma anche perché ciò che è successo a loro non si ripeta. Nel 2015 sono morte, uccise dalla polizia, 307 persone. Quelle accertate. C’è gente che viene uccisa da un proiettile vagante, come è successo a Vitor Santiago, mentre è dentro casa. Viveva nel Compleixo da Marè, zona Nord della città, la più povera. Qui più si avvicinano i Giochi olimpici e più si fanno frequenti le incursioni della polizia. La gente in strada tenta di fermare l’ingresso dei blindati nella favela, agitando manifesti che chiedono che si fermino le violenze e gli abusi. «La situazione politica in questo momento, questa grande incertezza – conclude Deize- spaventa anche i più determinati. Le lotte si mescolano. Andare contro il golpe, chiedere più investimenti sul sociale, più diritti per i più poveri, sono battaglie che vanno nella stessa direzione. Se il movimento contro la Copa era riuscito a mettere insieme realtà diverse tra loro, oggi la battaglia contro il golpe può rilanciare i movimenti sociali in Brasile, ma chi comanda lo sa e farà di tutto affinché non ci si possa ricompattare, usando i media e la repressione le stesse armi del 2014».