Siamo a un bivio. Nel percorso – mai così disastrato – della sinistra in Italia, la tre giorni di Cosmopolitica offrirà una nuova, fragile opportunità per riorganizzare le esigue forze in campo. L’impegno è che si produca una scintilla. Che si inneschi la marcia per un cammino collettivo di sfida al futuro di guerra, odio e impoverimento che incombe sull’Europa e sul Mediterraneo.

È chiaro che, qui ed ora, servirebbe un evento di rottura – probabilmente lontano dalle fredde sale del Palazzo dei Congressi di Roma – per rivitalizzare una società, quella italiana, invecchiata e affaticata. Eppure, è necessario scongiurare che la sfida della costruzione di un nuovo partito di sinistra in Italia non si traduca semplicemente in un restauro del “modernariato” politico a disposizione. Allo stesso modo, battersi affinché si costruisca una soggettività autonoma, che delinei la propria proposta di alternativa di società in modo indipendente e non subalterno al criterio di “distanza” dalle altre forze in campo.

Per fare tutto ciò, superando le macerie della sinistra italiana, occorre sciogliere alcuni nodi ineludibili.

Innanzitutto, la questione democratica. È sotto gli occhi di tutte e tutti come il tema della sospensione della democrazia sia deflagrante in tutta Europa: dal disumano trattamento del “malato” greco, alle nostre città commissariate dall’alto. Su questo terreno si misura la capacità di costruire una forza popolare contro la tecnocrazia neoliberale imperante. Così, nel percorso costituente di Cosmopolitica, sarà irrinunciabile innervare un processo di democrazia integrale che abbia cura e attenzione di chiunque si avvicini a questa proposta. Sarebbe ingiusto consegnare questa occasione a scorciatoie digitali che in rete rischiano di produrre esclusivamente stati d’animo, proprio quando c’è assoluto bisogno di un bagno di realtà per una ricostruzione meticolosa dei nessi di comunità: luogo dopo luogo, territorio per territorio, nella conquista quotidiana di un altro futuro possibile.

Così, il tema delle città. Che oggi – per dirla con Aldo Bonomi – disegnano quelle comunità di destino dove la politica può praticare il «mettersi in mezzo tra i flussi del globale che impattano nel locale mutandone forme di convivenza, forme dei lavori, economie e società, cultura e antropologia». Le città sono, in definitiva, quei luoghi dove praticare il conflitto e ricomporre i vincoli comunitari; dove favorire i percorsi di autorganizzazione e animare l’alternativa di società per sfidare il partito della nazione e i populismi, xenofobi o digitali, che avanzano nel Paese. Per questo, torna ad essere centrale il tema delle autonomie dei nessi locali verso cui promuovere il massimo della cessione di sovranità dagli ingessati banchi del Parlamento: per liberare linfa verso la costruzione di un soggetto reticolare, diffuso, aperto e contendibile. Su questo, il passaggio delle prossime amministrative non si trasformi nel doloroso abbrivio di una deriva identitaria e minoritaria. Sia, piuttosto, occasione in cui misurare l’ambizione di costruire un’alternativa di governo e un’alternativa d’Europa.

Quale idea di Europa, è un ulteriore pilastro fondante nella definizione della cultura politica comune, su cui non si possono registrare ambiguità. Il dato certo è la necessità improrogabile di sovvertire questa Unione Europea. È opportuno, allora, scegliere quali strumenti utilizzare per invertire la rotta. Per evitare – come ammonisce Bifo – che «l’UE, ormai entrata in una situazione di scollamento politico, di odii incrociati, di predazione coloniale» finisca nelle mani della destra, «l’unica forza capace di abbattere la dittatura finanziaria». Si crede veramente che, per capovolgere questa Unione tecnocratica e monetarista, si debbano recuperare gli attrezzi sovranisti degli interessi nazionali, invece di raccogliere le sfide che ci giungono dai movimenti delle piazze di Francoforte, dal sussulto di dignità della Grecia di Alexis Tsipras o ancora dal manifesto «pan-europeista» di DiEM 2025 di Yanis Varoufakis? Per superare questa Unione tedesca, non serve forse riscoprire un’eccedenza di europeismo radicale sulla scorta dell’utopia di Altiero Spinelli?

Infine, chi si pone oggi il compito di plasmare un nuovo partito deve fare i conti con la dicotomia “innovazione/conservazione” che invade in modo persistente il dibattito pubblico in Italia. Anche qui, sarà utile individuare con cura il terreno dello scontro politico: ad esempio, evitare di ergersi a campioni dell’inviolabilità della “polverosa” Costituzione formale del Paese, rischiando di somigliare a strenui difensori della Prima Repubblica e della partitocrazia; al contrario, per provare ad essere una sinistra socialmente utile mettendo al centro della propria iniziativa politica un’azione concreta, immediata, addirittura spregiudicata per la conquista del reddito di cittadinanza. Oppure, ancora, la scelta strategica di un ecologismo sociale radicale – attraverso cui ripensare le relazioni, le metropoli, i territori e i flussi che li attraversano – come orizzonte su sfidare l’aggressione neoliberista.

Nell’avviare tale processo, non c’è dubbio, sarà utile l’irruzione in campo di nuove energie e nuove pratiche. Eppure sarà ancor di più urgente, nell’agenda politica di questa sinistra, un’inversione di dominanza tra strettoia politica e maggioranza sociale. Servirà un innesco per la rottura, come succede in Grecia e in Spagna, dei confini della sinistra del Novecento. Perché senza un radicamento territoriale e la riscoperta di una propria “ragione” sociale, senza un’ostinata ricerca di una relazione stretta con quel che si muove di plurale nella società italiana, non potrà esserci nuova rappresentanza.

*assessore alla cultura Municipio Roma VIII