Venduto in 7 milioni di copie, il numero di Charlie Hebdo pubblicato dopo la strage nella redazione del settimanale francese ha goduto di enorme visibilità planetaria. Scatenando così anche la reazione di quanti si sentirebbero oltraggiati da qualsivoglia raffigurazione del profeta, figuriamoci dalle caricature del magazine satirico.
Dal Pakistan alla Somalia, dall’Inguscezia al Sudan, dall’Algeria al Niger, folle di fedeli indignati hanno dunque manifestato la loro rabbia al termine della preghiera del venerdì e oltre. Ovunque la risposta alla grande “marcia repubblicana” di Parigi è stata chiara e inequivocabile: Je suis muslim, «Io sono musulmano». E di certo «non sono Charlie».

A destare maggiore preoccupazione nelle ultime ore è il modo in cui la situazione sta degenerando in Niger. Venerdì un poliziotto e tre manifestanti hanno perso la vita a Zindan, la seconda città del paese, dove una cinquantina di persone hanno fatto irruzione nel locale Centro culturale francese appiccando il fuoco alla caffetteria, alla biblioteca e agli uffici. Per l’intera giornata a Zindan si è respirato un clima che il ministero degli Interni nigerino non ha esitato a definire «insurrezionale».

Ieri la protesta ha investito la capitale Niamey, dove migliaia di persone, in maggioranza giovani, si sono ritrovate davanti alla Grande Moschea della città. La polizia ha provato a disperdere i manifestanti con i gas lacrimogeni, ma nei disordini che sono seguiti almeno due chiese sarebbero state date all fiamme. L’ambasciata di Parigi ha caldamente invitato i francesi presenti a Niamey a non uscire di casa.

Ma a differenza degli altri paesi in cui sono dilagate le proteste, qui in Niger la mobilitazione ha un valore aggiunto del tutto peculiare: la rabbia della piazza è indirizzata infatti non tanto contro Charlie Hebdo, quanto contro il presidente Mahamadou Issoufou per la sua partecipazione alla marcia di domenica scorsa al fianco di Hollande. Lui ha provato a giustificarsi, sostenenedo in un comunicato che: A) in quanto leader di un paese con una popolazione islamica al 98%, la sua presenza a Parigi «contro il terrorismo e a favore della libertà» serviva «a testimoniare al governo e al popolo francese l’amicizia e il sostegno del popolo del Niger», ma soprattutto a contrastare quanti in Europa vorrebbero «sfruttare il fenomeno crescente dell’islamofobia per i loro fini politici»; B) Il governo «denuncia e condanna con veemenza la caricatura del profeta Maometto (la Pace sia con lui) pubblicata sul numero di Charlie Hebdo del 14 gennaio, considerandola una provocazione offensiva e totalmente inaccettabile» Ma non ha convinto nessuno. Né sono sfuggite in patria certe affermazioni rese da Issoufou ai media francesi, a cominciare da quella in cui il presidente assicura che «non solo io, ma tutti i nigerini sono Charlie». Ce n’è abbastanza per mettere in dubbio le sue chance di ottenere un secondo mandato alle elezioni del prossimo anno.

Un paese enorme e poverissimo, il Niger, la cui principale risorsa, l’uranio, lo mantiene saldamente nell’orbita degli interessi francesi. L’ex potenza coloniale controlla infatti le miniere presenti nel paese, e proprio la necessità di difenderle dal pericolo islamista avrebbe portato Parigi a intervenire militarmente nel confinante nord del Mali. Dove ieri un peacekeeper dell’Onu appartenente al contingente ciadiano è morto e altri cinque sono rimasti feriti in seguito a un attentato kamikaze contro una base militare di Kidal gestita dall’esercito francese e dalle Nazioni unite.

Niger e Ciad, insieme al Camerun, in questi giorni sono oggetto delle pressioni di Parigi per un maggiore coinvolgimento, e conseguente dispiegamento di truppe al confine con la Nigeria e oltre, nella battaglia in corso per arginare la minaccia crescente costituita da Boko Haram. Un vero incubo. L’escalation sanguinosa delle azioni compiute dall’organizzazione jihadista, che negli ultimi sei anni ha seminato il terrore nel nord est della Nigeria e inflitto cocenti sconfitte al potente esercito di Abuja, sarà al centro di una riunione indetta dall’Unione africana la prossima settimana.