«Vado a votare Sì per il valore simbolico del voto, per far sì che nell’agenda del governo sia messa all’ordine del giorno una politica energetica diversa, sempre più orientata verso le fonti rinnovabili. Se invece dovessi guardare solo al valore reale della consultazione, in questo caso avrei dei dubbi».

Resta il fatto che Ermete Realacci, deputato del Pd e presidente della commissione ambiente di Montecitorio, domenica andrà al seggio. Disobbedendo al capo del governo e al segretario del partito, che ha invitato a boicottare la consultazione popolare.

Non lo trova anomalo?

Per me si poteva evitare anche questo referendum. Che, per inciso, è marginale rispetto agli altri cinque. Quando ben dieci Regioni, di cui otto amministrate dal centrosinistra, hanno avviato la campagna, il governo ha corretto l’impostazione di quella parte dello Sblocca Italia che già all’epoca aveva provocato molte polemiche, comprese le mie critiche in parlamento.

Ma un referendum è rimasto, e ora c’è un pezzo di paese che si interroga su queste concessioni infinite date alle multinazionali per pompare dal mare petrolio e gas. Non è un grande spot per un governo che tiene parecchio all’immagine?

Le piattaforme in discussione sono soprattutto per l’estrazione del gas, e sarebbe più sicuro esaurire il giacimento invece di tappare il buco. Ma a Ravenna c’è una piattaforma vicino alla costa, si chiama Angela Angelina, e ha prodotto una subsidenza pericolosa. Questo è un problema da risolvere.

Ce ne sono anche altri che il referendum cerca di disinnescare. Per Legambiente le piattaforme ‘referendarie’ soddisfano meno dell’1% del fabbisogno nazionale di petrolio, e il 3% di quello di gas. Materie prime peraltro abbondanti, e soprattutto molto inquinanti. Mentre all’ultima Conferenza Onu di Parigi sul clima, 195 paesi si sono impegnati a contrastarli.

Appunto per questo voterò Sì. Per avere una politica energetica orientata al futuro. Una politica innovativa, in grado di riassorbire tranquillamente i circa 5mila, 6mila posti di lavoro, non di più, che sarebbero via via messi a rischio dal successo del referendum. In parallelo dovremmo aprire un confronto con gli altri paesi rivieraschi: la Francia ha annunciato una moratoria sulle ricerche degli idrocarburi in mare, così come la Croazia. Allora discutiamo tutti assieme.

Guardiamo il rigassificatore off shore di Livorno di E.On e Iren, che non serve e non lavora ma che è di ‘importanza strategica’. Risultato: 125 milioni di incentivi pubblici negli ultimi tre anni. Soldi che servirebbero tanto da altre parti.

Queste operazioni hanno senso se c’è un privato che rischia, se c’è una copertura pubblica a prescindere non vanno per niente bene. Ma ripeto, quello che toglie spazio ai prodotti fossili è l’efficienza energetica, e le rinnovabili nelle loro varie possibilità. Ci vuole una politica più seria in questo settore.

Invece succede che da noi le società petrolifere non hanno una tassazione specifica ma solo l’imposta Ires al 27,5%, come tutte le altre aziende. Per giunta il sistema delle franchigie, delle esenzioni, fa sì che le royalty siano pagate solo per 18 delle 69 concessioni in mare (il 21%), e per 22 delle 133 concessioni attive a terra. Soltanto 8 aziende su 53 pagano le royalty, peraltro assai basse.

Tutte cose da rivedere. Ma la vera scommessa è andare nella direzione assunta alla Conferenza di Parigi. E a Renzi, che difende Tempa Rossa, dico che non deve dare l’idea che quello sia il futuro. Quello è il passato, se si vuole anche il presente, ma il futuro è un altro.