Se Rosy Bindi esce dall’assemblea mattutina dei deputati Pd affermando soddisfatta che «è andata benissimo: il Pd è sulla strada giusta», ad Arcore non possano che drizzarsi le orecchie. Tanto da suggerire a Berlusconi di far filtrare dichiarazioni più che bellicose: «Pacta servanda sunt. Nessuno pensi di fare scherzi: se dovesse saltare il Nazareno, il Parlamento si trasformerà in un Vietnam e Renzi andrà contro un muro». Tanto da far sorgere addirittura dubbi sull’opportunità di vedere Renzi stasera, quasi al termine della girandola di incontri nella sede del Pd.

A metà di ieri pomeriggio, il socio era quasi convinto di disertare il meeting, facendosi rappresentare solo dai capigruppo Brunetta e Romani e dal «consigliere politico» Toti. Poi ci ha ripensato. Ci sarà anche lui, salvo sorprese, ma il solo dubbio vale a chiarire quanto stridule siano le sirene d’allarme che strepitano intorno al vertice azzurro.

Il nervosismo è comprensibile. Sta di fatto che ieri, all’improvviso, Matteo Renzi ha completamente cambiato il suo schema di gioco. La partita del Colle, ora, intende giocarla tutta da solo. Di fronte ai parlamentari del suo partito, ha illustrato la tattica: scheda bianca nelle prime tre votazioni, poi una candidatura secca, senza rose di sorta. E la quarta votazione «sarà quella decisiva». Quel nome fatato, confida il vice Lorenzo Guerini, non lo si saprà all’ultimo momento ma in un indeterminato «prima».

Di fronte alla riottosa truppa dei suoi parlamentari, Renzi si presenta con fattezze concilianti. Chiede di arrivare a una proposta unitaria. Sottolinea che l’elezione del capo dello Stato «non è un referendum su di me». Dichiara lecito il dissenso, ma invita a esprimerlo apertamente e non con gli agguati resi facili dal voto segreto. Insiste nel dire che il voto per il Quirinale «non è un voto contro qualcuno, ma neppure contro il patto del Nazareno». La sinistra esce rinfrancata e nel complesso rassicurata.

Il M5S invece è furioso. Grillo e Casaleggio scrivono a tutti i parlamentari del Pd: «Dopo averlo chiesto a Renzi chiediamo a voi di darci i vostri candidati per il Quirinale, che saranno votati online dai nostri iscritti». Parole al vento, così come i tanti borbottii che salutano anche a destra la scelta del segretario-premier.

Renzi ha deciso, e la sua decisione significa appunto che d’ora in poi giocherà da solo, cercando di conciliare il patto con Berlusconi e Alfano e la necessità di non spaccare, stavolta irreparabilmente, il suo partito. Ed è proprio la scelta di guidare il gioco tutto da solo a preoccupare tanto Berlusconi.

Dicono che il king-maker abbia già deciso su quale nome puntare, ma chissà se è vero. I vertici dell’Ncd bisbigliavano ieri con apparente sicurezza il nome di Piercarlo Padoan. Nelle stesse ore, però, gli uomini del premier proseguivano nelle loro discrete consultazione sull’opzione Sergio Mattarella, sgradita a Berlusconi e ancora di più ad Alfano. I beninformati sostenevano che, in cuor suo, il capo non abbia affatto rinunciato al sogno di incoronare un fedelissimo come Delrio e nel Pd è opinione comune che la carta coperta che Renzi tiene in serbo sia Sergio Chiamparino.

Una girandola di nomi che hanno tutti qualcosa in comune: corrispondono a quell’identikit di «presidente debole» al quale la primadonna di Palazzo Chigi mira in realtà da mesi. Forse sarà davvero uno di loro a essere buttato in pista in un momento imprecisato tra giovedì e sabato, forse no. Ma molto probabilmente sarà qualcuno con caratteristiche del genere, perché nel nuovo schema di gioco adottato da Renzi è nell’ordine delle cose che tenti prima di tutto di chiudere la partita nella maniera più conveniente per lui e solo in un secondo momento, se i segnali lanciati nelle prime tre votazioni saranno troppo minacciosi, ripiegare su un nome «pesante» come Walter Veltroni o Anna Finocchiaro.

Ad Arcore, per il momento, sarebbero state fatte pervenire tre ipotesi. Mattarella, bocciato senza appello. Padoan, sul quale l’ex monarca azzurro chiede di riflettere ancora, e Delrio, che è sì un uomo di Renzi al 150%, ma proprio per questo garantirebbe più di chiunque altro il patto del Nazareno.

Nella contesa si sono infilati all’ultimo momento anche i vescovi. Il cardinal Bagnasco prega perché il Parlamento elegga «in tempi brevi» chi «possa rappresentare con dignità riconosciuta e operosità provata il popolo e la Nazione». L’identikit è troppo vago per configurare un preferito dal Vaticano, ma di certo il cattolico Delrio non sarebbe sgradito.

Resta da vedere se la sinistra del Pd si accontenterà della parte collaborativa e unitaria recitata ieri da Renzi, e accetterà di affidargli per interposto candidato anche la presidenza della Repubblica, o se terrà duro e lo costringerà a sacrificare la sua prima scelta.