Sempre più buono, sempre più disponibile, non sembra più il presidente del governo che sulla legge elettorale ha messo la fiducia, scelta inedita a parte un paio di precedenti poco rassicuranti nella storia della Repubblica. Né quello che ha twittato: «Ci prendiamo le nostre responsabilità in Parlamento e davanti al Paese, senza paura». Quello che ha sfidato lo stesso parlamento: «La Camera ha il diritto di mandarmi a casa se vuole: la fiducia serve a questo. Finché sto qui, provo a cambiare l’Italia». Era più di un anno fa, soprattutto erano più dieci punti fa nei sondaggi.

Il Renzi di oggi dice la sua, ma si profonde in rispetto verso le camere. «L’Italicum secondo me è una buona legge elettorale e non essendo su questo il referendum non vedo come si possa continuare a collegarlo. Ma non apro più bocca su questo, è nella disponibilità del Parlamento», sul tema «cala il silenzio stampa del presidente del consiglio». Lo annuncia alla conferenza stampa a Varsavia, durante il vertice Nato. Chiosando però: «A me pare di non vedere un’altra maggioranza per una legge elettorale». E infatti il punto non è cambiare davvero la legge elettorale, non per ora, ma rassicurare le forze politiche, di centro e centrodestra, che la vittoria del sì non sarebbe la premessa per spazzare via i partiti e i partitini attraverso il premio di maggioranza alla lista. Le coalizioni dunque potrebbero tornare in tutte le combinazioni possibili, tutte tranne il vecchio centrosinistra. Perché nel frattempo dalle ceneri di Sel sta per nascere un partito rimpicciolito dalle comunali e spaccato come una mela sul tema delle alleanze con il Pd.
Intanto Renzi deve cancellare l’esibizione di autosufficienza fatta all’inizio della campagna per il sì: simile a quella che nel 2008 portò Veltroni, fresco segretario del Pd, a dare il primo colpo per l’abbattimento dell’ultimo governo Prodi grazie alle famose parole: «Correremo soli». E fu così che alle politiche vinse Berlusconi.

Il rischio di perdere il referendum e con esso il governo c’è. E la la legge elettorale scolpita su misura per il Pd del 2014 fa oggi è perfetta per i 5 stelle. Ha buon agio Luigi Di Maio a commentare (da Israele, dov’è andato a dare un’aggiustata ai rapporti fra quel governo e il ’moVimento’ in vista della corsa a Palazzo Chigi): «Temo che gli italiani assisteranno tutta l’estate a questo dibattito allucinante sulla legge elettorale di cui non gli importa nulla. Il perché è la paura che il M5S vinca».

Il premier cerca di cambiare i sondaggi che – a oggi – danno il governo soccombente al referendum lusingando le forze politiche che fin qui ha trattato come residui del passato, la sua compresa come la minoranza interna gli contesta. Infatti il Renzi «buono» tocca il cuore della sinistra Pd: Gianni Cuperlo apprezza la «buona notizia» della disponibilità di rimettere la legge al parlamento. Arrivano segnali da voci importanti dell’imprenditoria e dell’editoria (dall’establishment, come usa dire), preoccupate anche più delle forze politiche da transizioni disordinate. Come il presidente del Gruppo L’Espresso Carlo De Benedetti, intervistato dal Corriere della sera: il combinato fra riforma costituzionale e legge elettorale, dice, «consente a una minoranza anche modesta di prendersi tutto, dalla Camera al Quirinale. È un pericolo che l’Italia non può correre. Spero di non essere costretto a votare no».

E così Renzi da giorni arrotonda gli spigoli. Si mostra persino possibilista sull’ipotesi di ’spacchettamento’ della riforma costituzionale, ipotesi imbracciata da mesi dai Radicali italiani e raccolta – talvolta con malizia – da chi vuole aiutarlo a rallentare la corsa verso il giorno del giudizio. Lo spacchettamento «non dipende da noi», dice, ma «se la Corte di Cassazione, o la Consulta se sarà investita, daranno altro un altro giudizio non abbiamo nessun problema». Un’altra novità del «dolce stil novo». Se avesse voluto davvero spacchettare la riforma nei singoli «temi di merito», come Renzi ama ripetere oggi, avrebbe potuto procedere alla riforma per testi separati, come aveva fatto il suo predecessore Enrico Letta.