Osservare l’evoluzione dell’8 marzo attraverso le pagine del manifesto è un viaggio affascinante, che racconta gli alti e i bassi, i pieni e i vuoti, l’evoluzione storica della festa delle donne.

Dalla metà degli anni Settanta, quando se ne sottolineavano limiti e potenzialità, al deserto quasi consumistico dei tardi anni Ottanta fino al caos dei primi Novanta, un’epoca in cui il crollo del Muro e della Prima Repubblica monopolizzavano l’attenzione.

La “festa” diventa davvero globale, colorata ed esplosiva con il neofemminismo dagli anni Dieci.

Abbiamo chiesto alcune note a margine a Norma Rangeri, che molte copertine le ha volute come direttrice del giornale e a tutte ha partecipato fin dagli anni ’70 come giornalista del manifesto.

Buon viaggio. E buon 8 marzo.

2024, non è una festa. E’ una rivolta

 

2023, il primo 8 marzo del “presidente Meloni”

In 38 piazze d’Italia contro un “sistema patriarcale e capitalista” che non sarà la prima premier donna a smantellare”.

Ricorda Norma Rangeri: “In questa copertina c’è tutta l’amarezza per una sinistra tafazziana che regala il paese alla peggiore destra di sempre. Noi scegliamo di pubblicare una grande foto di donne che manifestano. Titolo: “Premiership”. Per dire che le donne con cui ci identifichiamo sono lontane anni luce dalla nuova inquilina di Palazzo Chigi”.

2022, l’invasione dell’Ucraina

Il 24 febbraio 2022 la Russia invade l’Ucraina. Infuriano i combattimenti a Kiev e nei giorni successivi perfino nella centrale di Chernobyl esplosa nel 1985. Il mondo con il fiato sospeso. L’8 marzo si trasforma e diventa “no war”.

2020 e 2021, il lockdown silenzia anche l’8 marzo

Il 9 marzo 2020 il presidente del consiglio Giuseppe Conte compare in diretta tv e dispone, per la prima volta nella storia moderna, una quarantena totale nazionale. Il virus del Covid-19 fa strage al nord e dilaga in tutto il mondo. Vietato uscire di casa salvo per necessità familiari o lavori indispensabili. Anche nel 2021, dopo un anno da incubo e centomila morti, il virus torna a diffondersi dalla fine dell’inverno. E per un giorno la “zona rossa” diventa “zona fucsia”.

Scrive Norma: “Questi ultimi anni sono inesorabilmente segnati dal sangue dei femminicidi. E’ il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a elencare, nella tradizionale cerimonia al Quirinale, i nomi delle 12 vittime dei primi due mesi del 2021”.

Libere tutte, l’esplosione degli anni Dieci

L’8 marzo diventa mondiale, e vuole cambiare il mondo arabo come in una perentoria primavera.

Scrive Norma: “Nuove generazioni femministe si prendono la ribalta inaugurando, per l’8 Marzo del 2017, la parola d’ordine dello sciopero generale gridato nelle piazze in 48 paesi del mondo. Perché “Se la mia vita non vale, io non produco”, come dice lo slogan. E l’8 Marzo diventa “Lotto Marzo”, invenzione di NonUnaDiMeno sigla del nuovo movimento. Si tratta “di un nuovo popolo internazionale guidato dalle donne”, come scriverà la cara e rimpianta Bia Sarasini. Bella la copertina del 2008 dedicata alle donne iraniane, e quella del 2011 sulle primavere arabe: “Il genere della rivolta”. Proprio nell’anno in cui finisce il sultanato di Berlusconi”.

Scrive Norma: “Sul finire degli anni ’10, quando esplode la grande crisi economica globale, emergono con forza le questioni del lavoro, in modo sempre più evidente. In particolare succede che un Rapporto di settore squaderna un fatto da sempre misconosciuto: le morti sul lavoro delle donne in un paese che sprofonda nelle classifiche sui processi di emancipazione. Siamo così arretrati che non solo neghiamo l’emancipazione economica al genere femminile, ma dobbiamo combattere anche contro le forze che si oppongono all’istituzione dei Dico, nuovi ordinamenti giuridici in favore di tutte le coppie, incluse quelle omosessuali e lesbiche”.

2014, Renzi con il capo “cosparso di genere”

Da presidente del consiglio del Pd, Matteo Renzi finisce in copertina per lo scontro sull’alternanza dei generi nelle liste elettorali (ma solo nelle liste però). Un privilegio maschile da prima pagina che era già toccato a un altro premier di sinistra, Massimo D’Alema, (definito “il mimoso”) negli anni Novanta.

Anni Duemila, lotto marzo

Anni Novanta

Scrive Luis Sepulveda contro “il finto omaggio a una finta immagine di donna”: “Il capitalismo è ed è sempre stato misogino. Il potere è ed è sempre stato misogino”. Le donne forse “possono essere padrone delle loro quattro estremità ma mai dei loro ventri”. Perciò l’emancipazione della donna “è quella di tutta l’umanità”. L’8 marzo deve essere il giorno in cui “si abbatte un peccato originale che non c’è mai stato” e si lotta per il brillare delle “stelle della felicità”.

Ricorda Norma: “Mentre si avvicinano le elezioni del 5 Aprile del 1992, quelle che sommariamente passeranno alla storia come l’inizio della fine della Prima Repubblica, l’aborto e la violenza sessuale restano all’ordine del giorno della lotta. L’aborto perché sono continui gli attacchi per impedirlo e la violenza sessuale perché è in dirittura d’arrivo la legge che finalmente la incardina nei reati contro la persona anziché contro la morale.

Proprio l’8 Marzo del ’92, mentre tutti i giornali scioperano contro Berlusconi, noi del manifesto, in quanto cooperativa, ne siamo esentati e così usciamo in edicola con una copertina famosa: tutta bianca con il titolo: “Silenzio, parla Berlusconi”. E alla festa della donna dedichiamo quattro pagine molto speciali, proprio sul tema dell’informazione e dunque riservate all’altra metà dei media.

Come sempre il nostro sguardo sull’8 Marzo varca i confini nazionali e gira il mondo, questa volta con un focus sulla cultura patriarcale dei paesi arabi (titolo: “Quello che il velo nasconde”), mettendo in primo piano le vicende delle organizzazioni femminili del Maghreb e del Mashreq”.

1992. Silenzio, parla Berlusconi

L’8 marzo il sindacato dei giornalisti Fnsi indice lo sciopero della stampa. Il manifesto esce in edicola con un numero speciale sull’informazione. L’editoriale spiega che non si lotta per le parità ma per la libertà.

I primi anni Ottanta, “due o tre cose che so di lui”

Scrive Norma: Sono gli anni dell’attacco alla legge sull’aborto, della lotta contro la violenza sessuale. Sono gli anni in cui il giornale accende la luce sulla prostituzione, dando visibilità al famoso convegno organizato dalle prostitute di Pordenone. Sono anche gli anni della svolta separatista dell’Udi, e di un documento scritto sulla rivista milanese “Sottosopra” che riaccende la discussione nazionale sul “chi siamo”.
Mentre oggi viviamo le tragedie delle nuove guerre e della carneficina dei palestinesi, il manifesto del 1984 offre un grande spazio  a un reportage, trasmesso dal Tg1, sulla drammatica condizione delle donne israeliane e palestinesi dentro la guerra, scritto e diretto da due donne. E, rimanendo all’estero, nel giornale del 1989 per la firma di Adriana Buffardi, scopriamo l’antesignano del Me too, con un articolo sulla mobilitazione dei sindacati Usa contro le molestie sessuali, sintetizzate da un volantino che recita: “Se dico no, è no”.

Attorno al ’77

La donna “protagonista della contraddizione”: la fabbrica è un passo in avanti rispetto alla cucina?

Ricorda Norma: Privato, sesssualità, aborto e, siamo nel 1977 quando la crisi economica già morde, una nuova riflessione sul lavoro delle donne. Naturalmente lavoro nel doppio senso: di produzione e di riproduzione. 
Il manifesto dell’8 marzo 1978 è da non perdere per due ragioni: le analisi e le testimonianze di alcune femministe storiche che purtroppo non ci sono più, e l’inizio di quel ritornello che ci sentiremo ripetere sempre: ma dove siete finite? Una domanda a cui  rispondo con un corsivo dal titolo provocatorio: “Siamo in crisi? Per fortuna”. Gli anni ’70 volgono al termine, nel sangue. Il delitto Moro e il terrorismo ci annichiliscono, il grande mare femminista è diviso in mille rivoli, e nel 1979 è Rossana Rossanda, a proposito del cosiddetto “riflusso” del Movimento, a scrivere un editoriale sul decennio: “Chi ha paura di Virginia Wolf?”

1974, 1975, gli inizi

Per i primi due anni di vita (è nato il 28 aprile 1971) il manifesto quotidiano non parla in prima pagina dell’8 marzo. A metà del decennio le cose cambiano. Il femminismo “non è più un’avanguardia isolata” ma “non è ancora un movimento di massa”.

Scrive Norma: Nell’anno spartiacque del 1974, con lo storico referendum sul divorzio del 12 maggio, finisce il nostro lungo viaggio attraverso le prime pagine del manifesto sull’8 Marzo. E’ l’anno in cui inizia la mia doppia militanza, nella sinistra e nel movimento delle donne. Vivo il privilegio di lavorare in un giornale che assumerà il femminismo come uno degli assi della sua riflessione e della sua battaglia politica.
Siamo nel bel mezzo degli anni ’70 del secolo scorso, quando leggevamo Jiuliet Mitchel, Gabriella Parca, Eve Figes, Germanie Greer, e nelle nostre librerie già abitava il testo sacro di “La coscienza di sfruttata”. Tra titoli, commenti e corsivi fate attenzione a non trascurare una piccola scheda sulla storia di come nasce l’8 Marzo (il terribile rogo nella fabbrica di New York nel 1911), perché è un puro gioiellino dello “stile manifesto”. Sfogliando queste pagine incontrerete uno slogan (eravamo nel 1976) che diceva così: “La lotta non è finita, riprendiamoci la vita”.

La lotta non è finita, riprendiamoci la vita.