Robert Guédiguian
Robert Guédiguian

Tutto il mondo dentro Marsiglia: è la sfida di Robert Guédiguian, che da oltre quarant’anni è cantore della sua città, con un cinema che si vuole risolutamente politico e popolare senza rinunciare allo sguardo d’autore. E la festa continua!, il suo nuovo lavoro, racconta le vicende di una famiglia all’indomani del crollo di due edifici nel centro di Marsiglia avvenuto nel 2018, in cui morirono otto persone. Se mostrare un senso di comunità ancora possibile è una delle spinte che muove Guédiguian, ciò avviene anche nel farsi del cinema che ritrova ogni volta il suo storico gruppo di attori: la moglie, l’inseparabile Ariane Ascaride, ma anche Gérard Meylan e Jean-Pierre Darroussin. Abbiamo incontrato Guédiguian e Ascaride a Roma, in occasione di un’anteprima del film che uscirà poi nelle sale l’11 aprile.

«E la festa continua!» inizia con le immagini del crollo in rue d’Aubagne, eppure il film finisce con parole di speranza. È il vostro atteggiamento rispetto a tutti i «crolli» che avvengono intorno a noi?

Guédiguian: In effetti mi servo del crollo come di una metafora, rappresenta il venir meno del rapporto della società con la storia e la politica. Ma da qui bisogna ricominciare da zero, perché può nascere qualcosa di nuovo e di migliore. È quello che provano a fare tutti i personaggi del film: cercano di essere ottimisti, ognuno a suo modo partecipa a un’azione collettiva che da queste macerie fisiche e metaforiche porta a un cambiamento di segno positivo. L’ottimismo, in questo momento, è una necessità. Per quanto riguarda i fatti realmente avvenuti, il crollo in rue d’Aubagne è stato la molla per il cambiamento politico nella città di Marsiglia. In seguito a quel tragico evento tutte le forze politiche di sinistra, i partiti, i sindacati ma anche i piccoli gruppi, le associazioni, si sono uniti per creare un movimento che ha ribaltato gli schieramenti al governo della città. Finalmente, dopo quarant’anni di politici di destra e di sindaci e giunte clientelari, c’è stato questo cambio di passo, speriamo che duri.

Il vostro rapporto cinematografico con Marsiglia è iniziato negli anni ’80. Quali trasformazioni avete notato da allora?

Ascaride: Forse in parte anche noi siamo responsabili del cambiamento che vedo a Marsiglia. Quando avevamo vent’anni, se dicevi che venivi da lì non eri guardata proprio bene. Oggi la città, non solo in Francia ma a livello internazionale, è molto alla moda. Tutti ci vogliono andare, chi per turismo, chi perché ci si vuole trasferire, persino da Parigi. È una cosa che mi fa un po’ ridere e a volte, lo dico a mo’ di provocazione, mi piacerebbe che ci fossero ancora i borseggiatori sulla Canebière come un tempo. I nostri film ambientati in città, come Marius e Jeannette, hanno contribuito a mostrarla al mondo e così anche il quartiere di Robert, l’Estaque, si è gentrificato e questo un po’ mi dispiace. Sono sicura però che nel profondo la città abbia una sua natura che non verrà cambiata, ha una resistenza molto forte e una maniera di funzionare che è unica e non sarà scalfita. Oggi molti film vengono girati a Marsiglia ma tutte queste troupe lavorano in una maniera piuttosto standard. Per noi è diverso perché siamo di casa, tutti ci conoscono e sanno come lavoriamo, è un po’ strano da dire ma apparteniamo ai marsigliesi.

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La questione armena è importante nel film e credo tocchi Robert Guédiguian nel personale.

R.G.: Penso che la funzione più importante di un intellettuale, un filosofo, un artista o un cineasta sia difendere i più deboli, i più vulnerabili. L’Armenia è una realtà molto piccola e loro sono sempre stati tra i più umiliati. Ho origini armene ma li difendo come altre minoranze, come i curdi e i palestinesi. Ho sempre avuto questa vocazione, i «forti» non hanno bisogno di avvocati che li difendano, hanno già abbastanza armi a loro disposizione. Questo vale anche nella nostra società naturalmente: sono dalla parte dei disoccupati, dei detenuti, dei poveri. Nel film ho inserito l’Armenia per dargli un respiro internazionalista, le battaglie che combattiamo qui possono essere trasportate ovunque.

Un altro tema centrale nel film è quello della frammentazione della sinistra, che investe la Francia tanto quanto l’Italia. Quali sono le cause a vostro avviso?

R.G.: La sinistra mondiale non si è ancora ripresa dal crollo dell’Unione sovietica, che aveva come unico aspetto positivo quello di proporre un’alternativa al capitalismo. Oggi non c’è alcun programma alternativo e non c’è una forza politica capace di smontare quel modello. Alle elezioni si vota il meno peggio ma non c’è mai un’alternativa seria al sistema imperante. Penso che abbiamo senz’altro bisogno di una rivoluzione fiscale a livello mondiale, forse la vera svolta socialista del ventunesimo secolo può essere questa, anche se convincere i ricchi a pagare più tasse non è certo facile e non bastano le parole.

Come abbiamo visto anche ai César il cinema francese ha un conto aperto col femminismo, cosa ne pensate?

A.A.: Siamo solo all’inizio di un lungo cammino, e ben venga che si parli delle molestie nel cinema, ma non dobbiamo dimenticarci di tutto quello che avviene negli ambienti meno glamour: nelle fabbriche, al supermercato, negli ospedali, dove le lavoratrici subiscono molestie allo stesso modo. Sicuramente è accaduto in più casi che alcuni cineasti abbiano scambiato la necessità artistica di guardare un’attrice con uno sguardo di desiderio maschile. Molti registi sono uomini e hanno utilizzato il loro potere per appagare bisogni che non il cinema non c’entravano nulla. Voglio sottolineare che non sono una nemica degli uomini ma sono numerosi i settori in cui hanno più potere delle donne e si fanno portatori di un’ideologia maschilista che è ancora molto radicata.