Può la città di Helsinki darsi una Miss di pelle nera? Può, visto che nei giorni scorsi lo ha fatto consegnando la fascia di più bella della città a Sephora Ikalaba, diciannovenne di origine nigeriana che non ha né gli occhi azzurri né i capelli biondi e nemmeno una statura elevata, misurando 165 centimetri. Si sono scatenate critiche, accompagnate da commenti poco favorevoli sulla bellezza della ragazza considerata troppo black nei lineamenti del viso.

I concorsi di bellezza femminile sono da sempre una trappola insidiosa che, con la scusa di dare a delle ragazze un’opportunità di visibilità e carriera nel mondo dello spettacolo, si concentrano su un solo parametro di giudizio, quello dell’avvenenza esteriore. Qualcuno ha cercato di renderli politicamente corretti eliminando la misurazione di fianchi-vita-seno, eleggendo ragazze visibilmente non nostrane (successe anche in Italia nel 1996 quando vinse Denny Mendez, candidata di origini dominicane), o inventandosi prove di personalità, intelligenza e doti artistiche. La realtà è che, per quanto si cerchi di modernizzarlo o ammantarlo di pari opportunità, l’atto di radiografare e sezionare il corpo di una donna per darle un voto (un tot a alle gambe, un tot al sedere e alle tette, un tot al viso), resta una pratica da guardoni. Se poi vi si aggiunge l’idea del modello di bellezza nazionale, al voyeurismo si affianca un odioso retrogusto razziale e di identitarismo estetico.

Basterebbe fermarsi a pensare agli itinerari dei nostri antenati per rendersi conto che nessuno di noi è in purezza, ma siamo tutti il risultato di incroci che partono da uno stesso luogo, l’Africa. Se le continue scoperte di fossili umani in Africa fanno spostare sempre più in là l’ipotesi della comparsa dei primi ominidi sulla Terra (si è passati dai 5-7 a 10-13,5 milioni di anni fa), è certo che la migrazione dall’Africa verso l’Eurasia cominciò circa due milioni di anni fa. Non fu un trasloco di massa, ma uno spostamento graduale determinato da cambiamenti climatici, di fauna e flora, e non fu a senso unico, bensì un andirivieni che dipendeva anche dall’innalzamento o abbassamento del livello del mare che rendeva praticabili o no certi passaggi a piedi.
Ogni volta che si sente parlare di immigrati da accogliere o rigettare, bisognerebbe ricordarsi che l’Africa è la nostra terra madre, e che la presunta purezza locale, tanto amata e declamata da certi politici, altro non è che la conseguenza di incontri e incroci che hanno impiegato milioni di anni per produrre il fritto misto che siamo oggi.

Il genere umano è sempre stato in movimento, e muovendosi si è incontrato, incrociato, mischiato, ma le origini di ognuno di noi stanno lì, in Africa, anche quelle di Salvini, Le Pen, Orban, Wilders e di tutti i politici xenofobi che vorrebbero chiudere i confini. Per chiarirsi le idee, basterebbe che leggessero la voce «Uomo: origine ed evoluzione» sul sito della Treccani.

A quelli che in Finlandia hanno detto che la giuria di Miss Helisnki ha privilegiato il politicamente corretto al senso estetico nazionale, viene da chiedere: dove stanno i confini temporali e geografici dell’aspetto di un popolo? Da dove e da quando facciamo partire l’inizio di una identità estetica, di un confine dell’aspetto? E come la mettiamo con uno dei popoli più mixed del mondo, gli statunitensi, summa di incroci da ogni dove?

Anche se i concorsi di bellezza femminile restano quello che sono, una fiera di corpi, bisogna riconoscere che ogni tanto buttano sul piatto una bella provocazione. E a noi le provocazioni piacciono, come il fritto misto.

mariangela.mianiti@gmail.com