«Per quanto magari noi italiani fatichiamo a pensarlo, la neve che si accumula in montagna in inverno rappresenta una importantissima riserva idrica per la primavera e l’estate, in particolare per Paesi come il nostro, con un clima mediterraneo che vede precipitazioni in autunno, inverno e all’inizio della primavera e poi una lunga stagione secca» racconta Francesco Avanzi. Dopo un post-doc presso la University of California, Berkeley, dal 2019 è ricercatore nell’ambito di Idrologia e Idraulica presso Fondazione CIMA, che sta per Centro internazionale in monitoraggio ambientale, un ente di ricerca senza scopo di lucro e di interesse generale del Paese. Alla Fondazione si deve la misurazione in Italia dell’equivalente idrico nivale, in inglese Snow Water Equivalent, un dato sempre più importante per capire, a partire dall’inverno, quali sono gli scenari attesi nelle stagioni più calde.

Avanzi, dovremmo considerare la Snow Water Equivalent un «parametro vitale»?
In Italia ogni anno tra i 10 e i 13 miliardi di metri cubi d’acqua sono stoccati con le precipitazioni invernali, una sorta di banca dell’acqua che poi fonde mano a mano, solitamente a maggio, giugno e luglio, quando piove meno e fa più caldo. Lo fa con un processo molto lento, che incentiva l’infiltrazione dei suoli, fornendo acqua in modo graduale alla falda. È una cosa diversa rispetto a un nubifragio di pioggia. Cerchiamo di monitorare questo processo perché sapere quanta acqua c’è nella neve in inverno ci dà una cartina di tornasole rispetto alle attese, anche se come ci ha mostrato il maggio piovoso del 2013 le precipitazioni in primavera e in estate possono giocare un ruolo importante.

Da quando avete iniziato le misurazioni? Che trend osservate?
I nostri dati partono all’incirca dal 2010, quindi ancora non possiamo trarre conclusioni su un trend. Altri dataset più lunghi, analizzati dai colleghi del CNR di Torino, mostrano chiaramente un declino della neve sulle Alpi, almeno dal Secondo Dopoguerra. I due inverni 2022 e 2023, poi, sono quelli con meno neve nella storia delle Alpi. I dati relativi alla Snow Water Equivalent che noi sviluppiamo hanno mostrato una profonda variabilità, caratterizzata da molte stagioni con poca neve (2012, 2017, poi di nuovo dal 2022 al 2024).

Quest’anno la situazione è gravissima in Appennino (-78%) e – dopo le nevicate di fine febbraio – un po’ buia sulle Alpi (-21%). La politica s’è accorta del problema?
La nostra sensazione è che da quando abbiamo iniziato a pubblicare questo dato, il primo ad offrire un quadro unico nazionale, c’è molta richiesta: le istituzioni sono attente e recepiscono le informazioni. Il 2022, poi, ci ha insegnato il rischio di siccità estremamente gravi da gestire. Dal punto di vista delle politiche di adattamento, come Fondazione abbiamo scommesso sugli approcci partecipati, prevedendo il coinvolgimento dei portatori di interesse nell’elaborazione di strategie, lo abbiamo fatto ad esempio in Regione Liguria.

È stato un febbraio caldissimo. Come influisce questo sulla neve immagazzinata in quota?
Quest’anno l’abbiamo già visto nella seconda metà di dicembre e poi nella seconda metà di gennaio: l’alternarsi tra nuove nevicate e ondate di calore invernali, un fenomeno a cui eravamo meno abituati in passato, per cui una parte della neve accumulata tende a perdersi rapidamente. A febbraio, poi, le temperature medie sono state 3 se non 4 gradi più alte rispetto al periodo 2011-2021, non al secolo scorso, questo è il vero problema. A metà marzo il Po ha triplicato la quantità di neve che ha nel suo bacino rispetto alla fine di febbraio, da 2 miliardi di metri cubi a 6 miliardi di metri cubi, ma quella neve sta cominciando a fondere. È più utile se l’acqua viene rilasciata gradualmente nei fiumi ed in ogni caso anche questo fenomeno può essere considerato e descritto come un evento estremo: il nulla per molto tempo (a metà febbraio l’equivalente idrico nivale nel bacino del Po era a meno 61%, ndr) e poi la neve tutta insieme.

Date queste premesse che cosa ci aspetta per la primavera estate 2024?
Sicuramente al Nord ha piovuto e nevicato come non capitava da un po’ di anni: si parte da condizioni migliori rispetto agli anni scorsi, ma la primavera sarà più calda della norma e questo oltre a fondere prima la neve porta a un aumento della evapotraspirazione. C’è però tutta la primavera davanti e può arrivare anche il maggio più piovoso della storia. Un discorso diverso riguarda gli Appennini: oggi nel bacino del fiume Tevere c’è un quarto della neve, che ha già iniziato la sua fusione stagionale. Dalla Toscana in giù, la situazione è abbastanza disastrosa. Uno dei problemi principali sono queste siccità da neve calde, situazioni in cui piove invece di nevicare e se nevica non resta al suolo.