L’attacco dell’ex generale al-Sisi allo Yemen è la terza tappa dell’espansionismo egemonico egiziano in Medio oriente. Subito dopo il golpe del 2013, al-Sisi ha appoggiato Israele nell’operazione «Margine protettivo» contro Gaza, prolungando il conflitto.

In secondo luogo, ha ispirato il golpe militare di Khalifa Haftar in Libia per ripristinare uno stato post-gheddafiano senza Gheddafi, appoggiando il claudicante parlamento di Tobruk. Ora è il turno dello Yemen. Questa vicenda ha radici lontane ed è utile tornare alla Rivoluzione dei generali liberi, orchestrata nel 1952 da Nasser, per capire cosa succede ora. Nasser represse i Fratelli musulmani e costituì un asse di acciaio con Mosca. Non solo, formò un mostro statuale la Repubblica araba unita, insieme alla Siria. Ma fece di più si alleò in Yemen con il colonnello Sallal che si era ribellato al re Muhammad al-Badr. E ispirò così i nazionalisti arabi che occuparono Sanaa, dando vita alla Repubblica araba dello Yemen del Nord.

Questa volta è l’epigono di Nasser, al-Sisi, a cogliere la palla al balzo e a compiere i desideri sauditi di ripristino dello status quo nel paese. Le forze navali militari egiziane hanno preso parte alle fasi preliminari del conflitto. Il Cairo, dove ha trovato rifugio il presidente yemenita Hadi, ha contribuito alla missione militare saudita con attacchi aerei.

Al-Sisi ha poi promesso l’invio di truppe di terra. In una telefonata con il nuovo monarca saudita Salman, che ha appena inviato miliardi di dollari al Cairo dopo la conferenza di Sharm el-Sheykh, al-Sisi ha parlato della sicurezza del Golfo come una «linea rossa», «parte integrale della sicurezza nazionale egiziana». Ieri si è svolta proprio nella città turistica del Sinai, ormai la vera capitale operativa mentre al Cairo per motivi di sicurezza al-Sisi non entra neppure nel palazzo presidenziale, una riunione di emergenza dei capi di stato, in vista del meeting della Lega araba previsto per il fine settimana, per discutere la formazione di una forza militare congiunta.

Spiegare il ruolo centrale dell’Egitto di al-Sisi per fermare gli Houthi e ristabilire lo status quo in Yemen è essenziale per due motivi. Prima di tutto serve a non esasperare la componente settaria del conflitto. A Sanaa non si sta combattendo necessariamente uno scontro tra sunniti e sciiti per un motivo molto preciso: non sarebbe negli interessi dell’Iran fomentare una guerra in Yemen in questa fase. È nell’interesse di Tehran invece che al più presto si arrivi ad un accordo sul nucleare con gli Stati uniti.

Ma forse questa intesa non la vogliono tutti gli iraniani. In particolare, le guardie repubblicane che si sono arricchite con le sanzioni stanno appoggiando il tentativo degli Houthi per sabotare l’accordo. Gli stessi pasdaran avrebbero tutto da guadagnare da un aumento dei prezzi del petrolio, conseguente ad una nuova guerra in Yemen.

E poi c’è un secondo punto: la tempistica degli attentati dei sedicenti Stato islamico (Is) contro le moschee a Sanaa che hanno causato 150 vittime la scorsa settimana. Sempre prima di una guerra della coalizione dei guerrafondai sauditi ed egiziani c’è un attacco jihadista a giustificarla. Questo terrorismo usato a orologeria per permettere l’uso della forza ci ricorda quello che è avvenuto in Libia dove l’attacco del Cairo ha preceduto l’avanzata mediatica di Is a Derna e Sirte.

Evidentemente esistono differenze significative tra Yemen e Libia. Per esempio perché qui nella coalizione anti-Houthi c’è anche il Qatar che invece in Libia combatte contro i sauditi al fianco del parlamento di Tripoli, mentre quello che rimane dell’esercito dell’ex presidente Saleh appoggia il tentativo sciita di presa di Sanaa. E così in questo contesto l’unica cosa che si può imputare all’Iran è di essere stato troppo forte nel placare l’avanzata dello Stato islamico in Iraq tanto da costringere Is ad aprire un terzo fronte in Yemen. Invece Europa e Stati uniti ancora una volta lasciano fare ai sauditi, non impedendo bombardamenti che violano il diritto internazionale.

Fingono di non sapere che così facendo consegnano Aden a russi, egiziani e dimenticano una storia lontana ma così attuale da ispirare il più guerrafondaio dei presidenti: il generale al-Sisi.