Da una delle bacheche della Galerie des Donateurs, arriva uno scintillio, una rifrazione, vetro su vetro, ti attira da quella parte, e anche chi non lo abbia mai conosciuto Antonio Tabucchi, li riconosce subito, i suoi occhiali, inconfondibili, la montatura in metallo, le lenti ovali. Stanno appoggiati all’astuccio marrone e, sotto, c’è la sua ultima carta d’identità, rilasciata il 17 dicembre 2007 dal comune di Vecchiano, dove nacque il 22 settembre 1943, e dove scopri che alla voce professione non c’è «scrittore», come ti potevi aspettare, ma «docente universitario» e, soprattutto, che all’anagrafe si chiamava Antonino e non Antonio.

È la mostra che gli dedica la Bibliothèque nationale de France intitolata Antonio Tabucchi. Le fil de l’écriture, organizzata in occasione della donazione alla Bnf degli archivi dello scrittore italiano da parte di sua moglie, Maria-José de Lancastre e i loro figli, Michele e Teresa, che resterà aperta fino al 9 novembre prossimo.

Perché non a Roma

Viene subito naturale chiedersi perché donare l’archivio proprio alla Bibliothèque e non, per esempio, alla Biblioteca nazionale di Roma. «Per più motivi», dice Maria-José de Lancastre. “Antonio ha sempre rivendicato il suo essere italiano, però, al contempo, si è sempre sentito cittadino del mondo, scrittore europeo. E poi Parigi rappresenta in un certo senso lo snodo del suo percorso letterario, fu qui, ad esempio, sulla bancarella di un bouquiniste lungo la Senna, che trovò un libro di poesie di Pessoa, che lo portò a studiare il portoghese, e poi a scrivere. Parigi è come se fosse la sintesi del suo essere prima italiano e poi portoghese».

E in una delle interviste presentate in questa mostra, Tabucchi – ospite nel 1988 della celebre trasmissione Apostrophes condotta da un Bernard Pivot che dimostra di sapere poco o nulla di Pessoa – dice che si tratta del più grande poeta del secolo. Conduttore e altri ospiti replicano: «Il più grande poeta portoghese», e lui, timido e determinato: «No, il più grande poeta del secolo». Fu da quella sera che i francesi impararono a capire chi era Fernando Pessoa. E Antonio Tabucchi, anche.

L’archivio Tabucchi alla Bnf, dunque, anche perché l’Italia di questi ultimi decenni trascura tutto ciò che è cultura (Renzi ha parlato di cultura solo durante la campagna per le primarie. Lo avete più sentito nominarla, in seguito, quella parola?). Inoltre, bisogna anche dire che oggi, per molti italiani, è più economico raggiungere Parigi che andare a Roma. Non solo: la Bnf metterà subito a disposizione a pubblico e studiosi, i manoscritti e l’archivio che gli sono stati donati.

Un archivio prezioso, di cui fanno parte anche numerosi inediti, che forse un giorno finiranno in volume, come ad esempio li manoscritto del romanzo Perdute salme, inviato a Italo Calvino, che gli risponde in una lettera qui esposta, dove dopo aver elogiato la scrittura di Tabucchi, in particolare della raccolta di racconti Il gioco del rovescio, esprime alcune dettagliate riserve sul manoscritto che spingeranno Tabucchi a rivedere quel progetto, da cui poi scaturirà il bellissimo Il filo dell’orizzonte.

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All’inaugurazione, il 22 settembre, c’erano tanti suoi amici, oltre alla moglie e ai figli. Il critico Paolo Mauri, lo scrittore Andrea Bajani (autore lo scorso anno di un libro su Antonio Tabucchi, intitolato Mi riconosci, pubblicato da Feltrinelli), il suo traduttore francese Bernard Comment, autore di una bellissima intervista video che si può vedere nella mostra (e direttore della collana dell’editore Seuil, Fiction & cie, che proprio in questi giorni compie quarant’anni), il traduttore spagnolo Carlos Gumpert, Clelia Bettini, la studiosa Thea Rimini, la professoressa Anna Dolfi (curatrice fra l’altro del libro di saggi di Tabucchi, Di tutto resta un poco, Feltrinelli), l’editore Riccardo Greco, e Veronica Noseda, autrice di un documentario su Tabucchi, ma, soprattutto, “penna” di alcuni suoi libri, in quei periodi in cui lui preferiva dettare le sue storie, i suoi racconti, una forma di scrittura orale che Tabucchi prediligeva e che bisognerebbe trovare il modo, un giorno di studiare per bene. Partendo magari proprio dal suo ultimo racconto, che dettò a sua moglie e a suo figlio mentre era ricoverato in ospedale a Lisbona, giusto un paio di giorni prima di morire.

Estimatori illustri della sua opera

Tra le carte esposte alla mostra di Parigi, la ricca corrispondenza fra Tabucchi e tanti suoi amici e colleghi, estimatori della sua opera e che testimoniano attraverso le loro lettere l’internazionalità dell’autore pisano. Ci sono lettere di MIlan Kundera, Günther Grass, Theo Angelopoulos, Mario Vargas Llosa, Pedro Almodovar, oltre che Italo Calvino e Leonardo Sciascia.

Un rapporto conflittuale, quello col suo Paese, in particolare negli ultimi vent’anni, passati a scrivere articoli sulla situazione politica e sociale italiana suI quotidiani stranieri. Uno, pubblicato da Le Monde, è esposto alla parete in fondo alla sala che ospita la mostra. Si tratta di una lettera all’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, al quale domanda come mai l’Italia si sia ridotta a quel modo.

Tabucchi era preoccupato per la deriva imboccata dal suo paese natale, da un panorama politico riempito dalla demagogia devastante del berlusconismo, dalle sue storture e contraddizioni. Interventi sempre lucidi e spesso durissimi, quelli di Tabucchi, che tanto fastidio hanno dato agli uomini di potere che attaccava.

Battagliero e libero

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Un impegno continuo, il suo, a trecentosessanta gradi, che in quegli anni lo ha giocoforza tenuto lontano dai suoi libri, dalla scrittura dei suoi racconti, dei suoi romanzi. Il Tabucchi battagliero e libero, capace sì di scagliarsi contro Berlusconi ma anche, contemporaneamente, contro quegli intellettuali della gauche francese che hanno sempre aiutato e sostenuto, secondo lui ciecamente, Cesare Battisti.

Tabucchi scriveva a mano, e in questa mostra è bello perdersi dentro la sua scrittura, minuta, veloce, e però comprensibile, chiara. Pagine di cui sorprende l’ordine, dove le cancellature, le correzioni sono poco frequenti, e ti danno spesso l’impressione di una specie di “buona la prima”.

Del resto lo ripeteva sempre che i suoi testi, i suoi romanzi, i suoi racconti, si scrivevano dentro di lui, nel corso del tempo, e poi bastava solo tirarli fuori al momento opportuno, e allora una volta era la sua penna, un’altra era quella di qualche amico che si prestava a mettere su pagina le sue dettature.

E Orwell batte la fiacca

Ma anche negli appunti è facile riconoscere la mano, il tono di Antonio Tabucchi. Una volta, a casa sua, ho sfogliato un quadernetto a quadretti, datato 1975, copertina verde, dove appuntava i libri che via via leggeva.

Delle splendide micro-critiche. Capitai su una in particolare, e da quel momento fu difficile dimenticare quelle poche righe dedicate a 1984 di George Orwell, dove, dopo aver sottolineato la grandezza del libro, annotava tuttavia che qui e là l’autore inglese «batte la fiacca».

Una mostra preziosa e imperdibile, quella di Parigi. Che mette in evidenza, ce ne fosse stato ancora bisogno, la grandezza di Antonio Tabucchi, il più internazionale dei nostri autori. Uno dei più amati, ovunque. Una mostra che attenua la mancanza di un uomo prezioso, di un amico vero, di un maestro unico. Alla fine però sempre presente, fra le sue pagine, che possiamo leggere e rileggere e, da oggi, consultare nel loro farsi, nel loro procedere, grazie all’archivio della Bibliothèque nationale de France.