Chi sono Les Ogres nel film di Léa Fehner? sono gli orchi, non quelli delle favole, ma i componenti di una compagnia di teatro itinerante che arrivati sui nostri schermi cattureranno gli spettatori con il loro ritmo incessante, drammatico e solare allo stesso tempo. Montano il tendone nei paesi dove il teatro non arriva e propongono uno spettacolo basato su Cechov (la pièce L’orso con i duelli tra la vedova Popova e il generale Smirnov) abbinato a una sorta di cabaret con canzoni che coinvolge il pubblico. Nel frattempo fuori scena si assiste a spettacoli e intrighi ben più complessi che coinvolgono tutta la troupe legata da rapporti familiari, sentimentali, di potere, di libertà. L’andamento on-the road sulle strade di Francia, il senso di libertà al primo posto, la creatività al potere, la famiglia allargata, tutto questo ci riporta a soluzioni di vita delle comuni oggi perlopiù dimenticate, tra il libero amore e l’antiautoritarismo.

Per il suo secondo lungometraggio Léa Fehner ha inserito nel cast buona parte della compagnia teatrale di famiglia (lei però ha preferito studiare cinema): suo padre la madre, la sorella (François, Marion, Ines) accanto ad attori professionisti (Adèle Haenel, Marc Barbé, Lola Dueñas). Una compagnia che proviene dalla generazione del maggio francese? Di quella immediatamente successiva, ci risponde la regista, che dice di aver difficoltà a razionalizzare l’eredità che quel tipo di vita ha provocato in lei, qualcosa di particolare però è avvenuto in quel passaggio generazionale.

Alla compagnia della sua famiglia, lei ha chiesto di improvvisare, in maniera molto tranquilla. Eppure il gioco sembra assai pericoloso perché nel film esplodono tensioni antiche che infine si risolvono, il ritmo assomiglia a quello di un funambolo sul filo. Il film che era stato presentato all’ultimo festival di Pesaro, ha ricevuto il premio Lino Micciché e anche il premio del pubblico e innesca subito la ricerca di diversi riferimenti cinematografici.

Ma ci sembra che questo giocoso viaggio di teatranti non assomigli a nessun altro film: unico riferimento che non sembra casuale, visto l’inserimento nella colonna sonora di 24 mila baci potrebbe essere quello a Kusturica («mi piace perché arriva a farci amare anche i personaggi cattivi, arroganti, pieni di difetti» dice la regista), dove si mostrano eventi altrettanto pazzi, ma qui nelle dinamiche familiari emergono più sensualità e meno durezza, stemperati da una solarità e una energia motore costante di un film in continuo movimento, girato in sequenza, con molte prove e una ferrea sceneggiatura, dove si inseriscono ricordi di infanzia, il tocco romanzesco di un modo di vivere e parecchie situazioni inventate. Scritto con la coetanea Catherine Paillé e poi con Brigitte Sy, (attrice, regista, già compagna di Philippe Garrel). Distribuito dalla Cineclub internazionale in lingua originale con sottotitoli.