Una bambina che rimane silenziosa a fissare lo schermo di un computer dove fino a un momento prima appariva il volto della madre lontana, nell’aria ancora le parole tenere che si sono scambiate. L’immagine della donna scomparsa anche dall’indistinto nebuloso del collegamento Skype. Come «una impronta di memoria» che non si può più nemmeno evocare. Ora restano solo le onde di oceano che le separano – la bambina si trova in Nicaragua e la madre nei Paesi Baschi, è emigrata lì per cercare lavoro – come distanza non misurabile tra un continente e l’altro. Vedendo En tránsito, il documentario di Oskar Tejedor in anteprima mondiale a Milano al Festival dei Diritti Umani, conclusosi nei giorni scorsi (le opere documentaristiche erano a cura dell’associazione Sole Luna, organizzatrice dell’omonimo festival palermitano dal 20 al 26 giugno prossimi), ho ripensato all’abbraccio impossibile tra Dante e Casella nel II canto del Purgatorio, quando per tre volte il Poeta cerca di stringere affettuosamente a sé l’amico e per tre volte si ritrova ad abbracciare il vuoto, dato che ormai Casella ha perduto la sua natura corporea, e ho risentito quel misto di desiderio e di mancanza che si prova di fronte a una separazione forzata, quella tensione priva della soddisfazione che solo il contatto pelle pelle può dare. Certo, le donne di cui si narra nel film non sono né morte né svanite nel nulla, ma spesso, per l’eccesivo costo del viaggio, non riescono a rivedere i loro figli anche per molti anni, il che, soprattutto quando questi ultimi sono piccoli, come la bambina di cui sopra, equivale a qualcosa di molto prossimo a una scomparsa. A conforto di tutto questo, se il film ha il merito di approfondire risvolti poco indagati dell’emigrazione economica femminile e le ricadute di queste diaspore familiari contemporanee, il documentario si sofferma a lungo anche sull’azione di chi si dedica professionalmente a supportare queste persone: come un’associazione che gestisce una casa delle donne a Bilbao, fornendo sostegno psicologico alle madri immigrate dall’America Latina, e come una maestra che, dall’altra sponda dell’oceano, a Managua, lavora con i bambini della sua classe per elaborare emotivamente le esperienze di distacco traumatico dalla madre. È la voce saggia di questa docente che guida i ragazzi grandi e piccoli in un percorso di visualizzazione a occhi chiusi, a immaginare un «lugar seguro» dove ci si possa sentire protetti al punto di affrontare un viaggio verso l’Europa, per incontrare almeno un momento la propria mamma, anche se poi è necessario pian piano riaprire gli occhi. Allora – unica parte del documentario che si impregna d’animazione – la texture del film diventa quella poetica di un albo illustrato, dove il desiderio dei figli è esaudito visivamente tramite il volo di una farfalla o di un uccellino. Sempre la stessa maestra sottolinea come una donna che parte sia spinta dalla necessità di costruire fondamenta materiali per i figli, e come si viva in una società che non considera a sufficienza le necessità affettive che queste separazioni comportano. Vi è poi una interazione tra i due mondi grazie al viaggio a Managua di una delle operatrici dell’associazione basca. Si promuovono incontri affinché le donne siano sempre più consapevoli del loro diritto a restare, se vogliono, e delle difficoltà materiali e psicologiche in caso di emigrazione. Ecco, se talvolta si tratta di ricongiungimenti con i figli che non riescono a realizzarsi per anni, quello che è realmente «en tránsito» nel film è l’anima di queste donne e dei loro ragazzi, il riflesso sulle vite dei singoli di macropolitiche distanti e indifferenti. A questo spettro amplissimo di considerazioni politiche e private apre il lavoro di Oskar Tejedor, che comincia con due sedie di scuola vuote una di fronte all’altra e con un suono di acchiappasogni portato dal vento. Sui diritti delle bambine e delle donne indagano in modo differente anche altri due documentari valorizzati dal festival: Eco de femmes di Carlotta Piccinini e Con i messaggi tra i capelli di Chiara Andrich, che sono stati anche lo spunto per una tavola rotonda dal titolo «Libertà è partecipazione: donne e politica», cui hanno preso parte Imen Ben Mohammed, deputata italo-tunisina, Nagua Alba, la più giovane eletta nel parlamento spagnolo con Podemos e Azzurra Meringolo di Radio3Mondo. Eco de femmes è una ricerca attenta e rispettosa condotta sullo sfondo infinito di nuvole cielo e deserto del Maghreb, ad accogliere il vissuto di sei donne di aree rurali al confine tra Marocco e Tunisia, la loro lotta pervicace per infrangere le catene dell’analfabetismo e dello sfruttamento cui sono sottoposte come lavoratrici agricole. Una strada fatta di consapevolezza in movimento, di volti istoriati dalla fatica, che guardano in macchina senza paura, di sguardi attraverso i fili colorati di un telaio, del comprendere la necessità assoluta del ruolo dell’istruzione nel processo verso una sempre più compiuta emancipazione (anche per difendersi da indottrinamenti pseudo religiosi), nonché quello della solidarietà e dell’associazionismo cooperativistico tra donne. E se è bene interloquire con tracciati di autonomia di altri Paesi, per non cadere nella trappola di considerarli come già percorsi e scontati, fondamentale è specchiarci in uno degli snodi partecipativi più cruciali della storia politica delle donne italiane. In questa direzione il lavoro di Chiara Andrich, dal taglio televisivo didattico nel senso più pregevole, si fa scrigno delle propulsive storie delle donne della Resistenza, che affiorano sempre più prepotentemente nel nostro documentario e penso a Bimba col pugno chiuso di Claudio Di Mambro Luca Mandrile Umberto Migliaccio o a Tutte le anime del mio corpo di Erika Rossi. Qui i messaggi non sono quei caratteri impalpabili elettronici che ben conosciamo oggi, ma bigliettini nascosti tra i capelli, nel reggiseno, sotto i tacchi alti delle ragazze della Resistenza trevigiana. Siano staffette, infermiere, combattenti, tramite tra partigiani e popolazione civile, le loro sono imprescindibili testimonianze raccolte nel tempo (mentre alcune ci hanno già lasciato), corrono leggere su una bicicletta e raccontano di una presa di coscienza ineludibile, di coerenza avventura rischio per liberare se stesse e il Paese … Oltre questo tempo grigio e non reattivo, chiedono di essere nominate studiate coi loro nomi e con quelli di battaglia, di essere «imbracciate» vissute trasmesse: Tina Anselmi Rosina Annetta Bernardi Marcella Dallan Italia Da Re Giovanna Faé Bruna Fregonese Noris Guizzo Elisa Perini Nedda Zanfranceschi …
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