Susan (Aubrey Plaza)ha gli occhi grandi, le parigine un po’ calate e la bocca rossa di un rossetto sempre sbafato che somiglia a un quadro di Picasso. È giovane a adora la poesia, un poeta in particolare a cui ha dedicato la sua tesi. Per incontrarlo passa le giornate nella hall dell’hotel dove l’uomo vive, e non gli perdona di avere cominciato a cercare il successo scrivendo «stronzate» commerciali sul suo blog.

Simon il poeta in questione, premio Nobel in passato, in realtà medita di diventare attore comico, la commedia dà successo e rende popolari perché la letteratura funziona poco spiega al nipote Ned (Liam Aiken, che interpreta Ned da quando ha sei anni cresciuto così col personaggio), ragazzo strano che alla madre dice di essere vergine perché così vuole dio. La donna è chiusa in prigione, carcere a vita con accusa di terrorismo, mentre il padre di Ned è sparito, anche lui intellettuale, anche lui in passato condannato per avere fatto l’amore con una tredicenne.

Ned Rifle è il nuovo film di Hal Hartley (sezione Panorama), indipendente ( l’ha girato anche grazie al crowdfunding con Kickstarter) come tutto il cinema del regista che dai primi anni Novanta – indimenticabile Trust me – esplora le variazioni della commedia amorosa cinica e sentimentale al tempo stesso. Lo ha presentato la sezione Panorama, poteva essere in gara un film così, tanto per scuotere l’idea che il «concorso» debba essere congelato in un rischio diffuso di accademismo. È vero anche che la sezione parallela punta molto sul cinema indipendente Usa – diversi titoli arrivano da Sundance – e lì in questa selezione 2015 ha trovato i suoi titoli di punta – Nasty Baby di Silva, I am Michael di Justin Kelly prodotto da Gus Van San, protagonista l’ineffabile James Franco, quasi il simbolo di questa edizione del festival berlinese.

Dei movimenti emozionali che attraversano le store del regista, anche autore delle musiche, Ned Rifle ne sperimenta le tensioni più estreme chiudendo la trilogia iniziata con Henry Fool (’97) e Fay Grim (2006) di cui appunto questo sembra essere l’ultimo capitolo. Anche se non era un progetto definito sin dall’inizio nelle intenzioni di Hartley – «l’idea di un nuovo capitolo mi è venuta rivedendo Fay Grim, dove Henry parla della ragazzina che ha scopato e di quanto questa cosa abbia fottuto l’esistenza» dice. Forse è per questo che anche se non si sono viste le «puntate precedenti» (Henry Fool (1997) e Fay Grim (2006) poco conta perché questo film è una poesia irriverente dedicata a un mondo libertario, alla sua energia e ai suoi errori, alle sue fughe e alle sue sconfitte. Fa paura la poesia, loro poi adorano i surrealisti, non addomesticabile, come quei ribelli eccentrici finiti dietro le sbarre o in manicomio. Tutto molto soft, per carità, lei in carcere fa yoga e mette insieme un gruppo di lettura, l’uomo nella clinica psichiatrica beve whisky e continua a corteggiare con impudenza le ragazze giovanissime ..

Certo che l’alberghetto dove sta il poeta non è il Chelsea della beat generation e nemmeno di Andy Warhol ma quella ragazzina, Susan, somiglia a un personaggio della Factory: da piccola a tredici anni aveva amato l’uomo che si era portata a casa e che per questo era finito dietro alle sbarre sette lunghi anni. E lei ostinata l’aveva aspettato dedicandosi nel frattempo alla famiglia di lui, la madre di Ned, che aiuta a scrivere un’autobiografia in galera, e lo zio di cui studia l’opera a fondo. È infatti il padre di Ned l’uomo col sigaro in bocca un po’ sfatto, il ragazzo lo vuole ammazzare – una pallottola sola nella vecchia pistola – per vendicare l’abbandono, la madre e tanto altro. Susan però minaccia la sua fermezza, specie la castità e quando dividono il letto Ned dorme in macchina e prega molto … Del resto anche lei così fuori norma rispetto ai tempi, artista di vita body art tra Marx e le slam poetry , l’hanno messa in manicomio. Infatti: non è mica tollerabile che una bambina voglia fare l’amore (di solito si tratta di pedofilia) e quando finalmente ha l’uomo desiderato – non ho mai dimenticato le tue dita sulle mie labbra gli dice solo: «Scopami» e la loro passione scandalizza l’intero motel…

Fanno ridere i personaggi stralunati di Hal Hartley con la dolcezza di un umorismo raffinato, gli equivoci, i segreti, i misteri anche se questo film è pieno di malinconia densa e scritta nei loro destini che li condanna a sparire, a uscire dal quadro per sempre. C’è in controluce qualcosa di autobiografico, un riferimento del regista al proprio fare cinema così inattuale, e per questo bello, lontano da mode e da regole di «System» sia esso alternativo o grosso budget e che pero continua a sfidare le convenzioni. Con l’amore per i suoi personaggi (anche questo oggi raro), e il gusto di fargli vivere storie non classificabili, disseminate di citazioni omaggi un gioco di specchia che la realtà la scompongono e la rimettono insieme senza seguirne le abitudini. Eroi surrealisti senza paura.