Ce la farà Nora Helmer a uscire dal guscio, a lasciarsi alle spalle il tepore domestico, a dimenticare (finalmente) la rassicurante quiete della sua Casa di bambola? L’ultimo incontro con l’eroina da Ibsen, nel 1879, mandata allo scontro con la morale, il conformismo, i principi della buona borghesia nordica, protestante, economicamente emancipata, ha per set il Manzoni di Pistoia, dove nei giorni scorsi ha debuttato con successo montata da Roberto Valerio per l’Associazione teatrale pistoiese (ora, dalla riforma Franceschini, rubricata a «Centro di produzione»). La nuova Nora ha la febbrile eleganza, lo scatto nervoso, la deliziosa inquietudine di Valentina Sperlì. Che in quel suo abitino clamorosamente vintage (costumi di Lucia Mariani) ci appare davvero come una donna in bilico. Una surfista dell’anima. Né salda né debole. Né remissiva né risoluta. Né antica né moderna. Semmai lucida e dubbiosa. Dunque temerariamente contemporanea. E in bilico resta la sua fine. Sospesa fra l’andare e il restare. Il dentro e il fuori. Tornerà Nora a cinguettare, accucciata sul divano, a fare il burattino e l’albero di Natale, a ballare la tarantella? E sarà ancora per il marito (il Torvald di Danilo Nigrelli è pure lui infantile, più fallimentare e astratto, benché isterico, al momento della resa dei conti) la sua «odoletta»?

Non c’è ritrosia nella regia di Valerio ma rispettosa cautela. Il fatto è che oggi di Nora si può parlare. Quando uscì, sui cartoncini d’invito ai ricevimenti delle buone famiglie scandinave, era invalsa la consuetudine di aggiungere una postilla: «Si prega di non discutere di Casa di bambola». Ne parla, in questa stagione, anche Andrée Ruth Shammah che ne fa una sorta di scapigliato vaudeville, una versione a suo modo inedita, che non caso diventa la Nora di Filippo Timi più che di Marina Rocco.

In un quadro di pericolante, ambigua tranquillità, il rumore del mare in sottofondo, le complici risate del dottor Rank (Massimo Grigò), l’avvincente opportunismo dell’amica Kristine (Carlotta Viscovo), si inserisce la scena di Giorgio Gori col suo doppio taglio: curvo su un lato, porta e finestre sull’esterno, onda gotico espressionista da cui emerge, angelo vendicatore, quasi un Nosferatu, l’ombra di Krogstad (lo stesso Roberto Valerio), verticale sull’altro, una parete giocattolo, tutta nicchie, ante e cassetti, metafisica e capricciosa, i colori freddi che richiamano la pittura di Hammershoi (luci di Emiliano Pona).

Ma ciò che rende ancor oggi assordante e crudele l’eco di Casa di bambola (come pure del Borkman o dell’Anitra selvatica) il rumore dei soldi, lo schiacciante incedere di un capitalismo che regola la vita delle persone, affari e sentimenti, i rapporti familiari e i comportamenti sociali. Un mondo di finzione dove è impossibile istaurare valori e ideali autentici. Complice Nora anche di banche e finanza bisogna parlare. Una puntata a Bellinzona (17 e 18 marzo), poi in tournée dalla prossima stagione.