Il 2016 comincia con un’Europa che si chiude sempre più al suo interno. Nel tentativo di fermare il flusso di migranti in arrivo dalla vicina Danimarca, ieri la Svezia ha deciso di ripristinare i controlli alla frontiera e chiesto all’Ue l’esenzione temporanea dal trattato di Schengen. Poche ore dopo e, come in una specie di domino, è stata Copenhagen a decretare la chiusura fino al 14 gennaio del confine con la Germania. Una decisone dettata dalla paura di vedere i migranti entrare nel suo territorio e – data l’impossibilità di poter proseguire verso la Svezia – restarci per chissà quanto tempo. Ipotesi vista come il fumo negli occhi dal governo di centrodestra guidato dal premier Lars Lokke Rasmussen e sostenuto esternamente del Partito del Popolo, formazione che deve il suo successo elettorale (il 21% alle passate elezioni di giugno) proprio alle forti posizioni anti-immigrati. Le decisioni assunte dai governi svedese e danese preoccupano Berlino, dove non si manca di sottolineare come il trattato di Schengen sia ormai sempre più in pericolo.

Dopo 55 anni (l’ultima volta accadde negli anni ’60) da ieri la libera circolazione tra Svezia e Danimarca è dunque sospesa. Chiunque voglia entrare nel paese scandinavo dovrà mostrare i documenti sia che viaggi in traghetto che in pullman all’entrata del ponte di Oresund che collega Copenhagen con la città svedese di Malmo. Chi viaggia in treno dovrà invece cambiare all’aeroporto di Copenhagen. Chi verrà trovato senza documenti verrà rimandato indietro. A pagare per le conseguenze delle nuove misure restrittive non saranno però solo i migranti, ma anche le migliaia di pendolari che ogni giorno attraversano il confine e che già ieri hanno dovuto attendere fino a 50 minuti prima di poter raggiungere il proprio posto di lavoro.

La decisione della Svezia di chiudere le proprie frontiere è tutt’altro che un fulmine a ciel sereno. Segnali di un imminente giro di vite non sono infatti mancati, termometro tangibile di un Paese che ha messo definitivamente alle spalle l’accoglienza che lo aveva caratterizzato in passato: leggi più severe nei confronti dei richiedenti asilo, controlli dei documenti e sospensione temporanee di Schengen si sono alternate in maniera sempre più frequente negli ultimi mesi. Lo stesso stop delle ultime ore era in qualche modo prevedibile. Proprio ieri, infatti, è entrata in vigore la nuova legge che impone alle società di trasporto svedesi di controllare che tutti i suoi passeggeri siano in possesso di un documento valido, prevedendo multe in caso di inadempienza. Un lavoro enorme, tanto da spingere le Sj, le ferrovie di stato svedesi, a interrompere i collegamenti da e per la Danimarca fino a quando non verrà trovata una soluzione.

Due, principalmente, le cause che hanno spinto Stoccolma a chiudersi: la crisi dei migranti, che nel 2015 ha provocato un’inedita crescita degli arrivi e delle richieste di asilo, salite a 150 mila. E la paura del terrorismo, ulteriormente cresciuta dopo gli attacchi di Parigi ma alimentata anche dalla possibilità che tra i profughi possano nascondersi possibili terroristi e dalla consapevolezza che 300 cittadini svedesi – stando alla cifra fornita a novembre scorso dal premier Stefan Lofven -, si sono recati in Siria per combattere con l’Is e di questi 120 hanno fatto rientro nel paese.

Comunque sia, la decisione di ripristinare i controlli alla frontiere presa da Svezia e Danimarca rappresentano un ulteriore colpo al trattato di Schengen e, di conseguenza, all’Unione europea. Che accusa il colpo e fino a ieri sera evita qualunque commento. Ma la preoccupazione per la sorte di uno dei suoi principi fondativi a 30 anni dalla sua nascita (venne siglato nel 1985 nell’omonima città lussemburghese), resta altissima. Per evitare il peggio da settimane a Bruxelles si lavora a una revisione in senso restrittivo del trattato insieme a possibili iniziative per proteggerlo dagli attacchi dei parti nazionalisti. La Commissione europea ha esteso il controllo dei documenti anche ai cittadini comunitari in entrata e in uscita dalle frontiere esterne dell’Ue, ed è stata proposta anche l’istituzione di una guardia costiera e di frontiera europea capace di intervenire in aiuto delle polizie nazionali. Ma anche provando a esternalizzare i confini dell’Ue grazie a trattati come quello siglato con la Turchia o con alcuni paesi africani perché impediscano ai profughi di mettersi in viaggio verso l’Europa. L’idea è quella di creare una sorta di «rete di sicurezza», per dirla con le parole usate dal vicepresidente della commissione Ue Frans Timmermans, che metta in salvo Schengen e con esso l’esistenza stessa dell’Unione europea. Fino a quando, però, non si sa.