Uno sciopero generale minacciato dai sindacati dei bancari e palazzo Chigi che smentisce l’impressione che il presidente del Consiglio Renzi voglia dimezzare i lavoratori del settore. Un tranquillo sabato estivo, mentre Renzi è in Cina al G20, trasformato in un pandemonio.

Tutto è iniziato da un aneddoto casalingo raccontato venerdì da Renzi al Forum Ambrosetti. Con la consueta compulsione nel celebrare le virtù dell’innovazione tecnologica il presidente del Consiglio ha sostenuto che sua moglie Agnese, neoassunta docente di italiano e latino all’Istituto Peano di Firenze tramite «chiamata diretta», avrebbe l’abitudine di fare operazioni bancarie dal suo smartphone invece di recarsi nella filiale della banca di Pontassieve. Davanti ai suoi interlocutori Renzi ha fatto una previsione apocalittica: entro dieci anni il settore perderà addirittura 150 mila posti di lavoro (su 328 mila). Il problema è noto e gli addetti ai lavori ne parlano da tempo: la disoccupazione provocata dal fallimento della strategia di apertura di filiali e dall’introduzione delle app per gestire il conto in banca. Ad aver fatto precipitare un clima già teso è stato il tecno-entusiasmo naif del premier.

I sindacati lo hanno preso sul serio e, in un comunicato congiunto, i segretari generali di Fabi, First-Cisl, Fisac-Cgil, Sinfub, Ugl Credito, Uilca, Unisin hanno chiesto una «convocazione immediata» altrimenti ci sarà «una mobilitazione totale a difesa dei posti di lavoro e della dignità dei lavoratori». «Prima di fare queste dichiarazioni – hanno scritto i segretari – Renzi aveva l’obbligo di consultare le parti sociali e l’Abi. Con il più bieco populismo dichiara che bisogna ridurre gli occupati, ridurre il numero delle filiali, aggregare le banche e che la politica deve stare fuori da questi processi». I sindacati ironizzano sulle cifre snocciolate da Renzi: «supponiamo che abbia calcolato 15 mila esuberi all’anno».

La reazione può sembrare spropositata, anche perché lo stile di Renzi è quello di parlare in consessi pubblici come se si trovasse al bar, pensando che sia questo lo stile della «disintermediazione». In realtà c’è qualcosa di reale che preme ai sindacati. Non solo l’oggettivo stallo del settore, ma anche il fondo per l’occupazione finanziato dagli stessi lavoratori. «Abbiamo creato in quattro anni 12 mila posti di lavoro in più» sostengono. Inoltre la contrattazione ha permesso negli ultimi 10 anno esodi volontari e il sostegno al reddito per circa 50 mila lavoratori. I sindacati si dicono inoltre d’accordo sul fatto che la politica si tenga fuori da queste dinamiche, ma che lo faccia davvero. L’uscita di Renzi confermerebbe, a loro avviso, la volontà di imporre il numero delle filiali, delle banche e degli addetti. «Chi pagherà i costi sociali? Con le sue esternazioni Renzi vuole invitare i banchieri a licenziare personale?».
A Cernobbio Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa SanPaolo, ieri ha tenuto a tirarsi fuori: «Quella di Renzi è un’ipotesi molto forte, ma non è il nostro caso». Luigi Abete, presidente di Bnl, appoggia Renzi «Sono parole di buon senso, voleva dire non ci riduciamo tra 10 anni a discutere di queste cose. Cos’altro deve dire chi fa politica?». Per esempio, dire proprio questo. Alla fine è arrivata la smentita da Palazzo Chigi: «Le preoccupazioni per gli esuberi eventuali è al centro delle nostre preoccupazioni. Il governo si pone l’obiettivo di ridurre Cda pleonastici e le poltrone, le superconsulenze e non vuole dimezzare i bancari».